di Antonio Milicia*
STILO – Agosto 2013. La sera di un giorno qualsiasi. Le venti, più o meno. Il telefono squilla nel momento meno opportuno, come spesso capita, ma sotto la doccia non lo sento, quando il getto violento dell’acqua calda ed il vapore denso mi spingono spesso in un’altra dimensione, o almeno… a me accade.
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Risponde mia moglie temporeggiando, e dopo aver interrotto la mia trance al vapore, mi porge il telefono nelle mani ancora bagnate. Le imprecazioni sono di rito, ma quando il mio telefono squilla spesso significa che è per lavoro, e il lavoro è sempre benedetto.
Il mio amico, l’avvocato Antonio Russo, intuendo di aver spezzato qualcosa di sacro, con la sua ormai ben nota educazione si prodiga nelle proverbiali scuse dall’altra parte del filo (una volta si diceva così, ma adesso il filo non c’è più).
Nonostante l’ora e il fare esitante dell’avvocato Russo, si tratta di lavoro, anzi, di un nuovo lavoro. “Antonio, è una cosa importante… e delicata… ma se te la senti… io ho fiducia solo di te”.
“Certo che me la sento Antonio, di che si tratta?” – “È un omicidio, ho bisogno che mi trascrivi alcune intercettazioni… per il momento, ma poi servirà altra attività che ti dirò…”
Un omicidio… sarebbe il secondo di cui mi occupo. Mi dico. Ed ovviamente accetto mentre ancora stempero nell’accappatoio umido il calore assorbito.
Qualche giorno dopo incontro il signor Ilario Spagnolo. È un ragazzone alto e ben impostato, con due occhioni grandi ed un sorriso dolce e sincero.
Sembra un ragazzo, ma è già un uomo ben impostato: da un mese si è preso sulle spalle robuste il carico di una azienda e di una famiglia aggredite da una accusa di quelle che ti possono sconvolgere la vita. Il padre infatti è Fernando Spagnolo, un uomo che a Stilo ha costruito qualcosa di molto concreto avviando una azienda zootecnica in contrada Mila ed una macelleria a gestione familiare nel centro del paese. Fernando Spagnolo è stato accusato dell’omicidio di Marcello Geracitano, avvenuto nella notte del 15 gennaio 2005, e dopo otto anni dal fatto, il 22 luglio 2013, è stato tratto in custodia cautelare, in ragione di nuovi elementi ritenuti validi per l’applicazione della misura dalla Procura e dal G.I.P. del Tribunale di Locri.
Comincia così per me una intensa attività tecnica, nella quale collaboro a stretto raggio con il difensore del signor Spagnolo, l’avv. Antonio Russo. Mi occupo inizialmente di alcune intercettazioni, e poi viene l’ora di fare un sopralluogo sulla scena del crimine.
In un pomeriggio di settembre del 2013 arrivo a Stilo, ed insieme con Ilario ed un suo parente salgo a bordo di un fuoristrada Suzuki. Da Stilo prendiamo la Statale per Serra, ed arrivati al bivio per la Ferdinandea lo imbocchiamo, dirigendoci così verso il bosco di Stilo. Il tempo passa lento, e io conto i minuti ed i chilometri, perché dovrò relazionare su distanze e tempi di percorrenza. Arrivati alla Ferdinandea ci addentriamo nel cuore del bosco, e io a poco a poco comincio a perdere il rapporto con la realtà. Quantomeno con quella da me conosciuta. Il Suzuki arranca tenace nei saliscendi e nei tornanti, e la cappa degli alberi è pressoché costante. È un’apnea che dura circa un’ora: un’ora massacrante tra le più difficili che mi sia capitato di affrontare a bordo di un veicolo. Più di una volta è soltanto la bravura alla guida di Ilario ad evitare che si finisca sotto ad un burrone. Potrei provare a dare fondo a tutta la tecnica narrativa di cui dispongo per descrivere quell’ora, ma ho soltanto tre parole: un incubo verde. Nessuna presenza umana, nessun manufatto rassicurante lungo il percorso. Solo alberi, faggi, pini, querce… salite impervie su fondi sterrati impossibili, discese da brivido sui sassi sconnessi. La mia breve confidenza con l’estremo la posso ricondurre a quell’ora trascorsa in quel bosco. Quando alla fine sbocchiamo in piano su una radura ossigenante nella Pomara di Stilo dico ad Ilario: “spero ci sia un’altra strada per tornare indietro.” Per fortuna c’era.
Però il nostro viaggio ancora non era finito. Altri due chilometri di sterrato molto più tollerabile nel fitto bosco della Pomara, ed eccoci arrivati. Un luogo in mezzo agli alberi come milioni di altri, ma ai bordi della strada sterrata, ben distinguibili, i lumini di plastica rossa lo facevano diventare un luogo diverso, in cui un’anima era rimasta inchiodata a quegli alberi. Un saluto mentale ed un omaggio doveroso a chi non c’era più. Un segno della croce, e poi guardarsi intorno. Ma guardare cosa? Nessun segnale, nessuno stimolo, nessuna idea illuminante. Un posto qualunque in un bosco qualunque. Ma ciò che lo rendeva speciale e diverso era il viaggio tormentato necessario per arrivarci. Due ore e mezzo da Stilo, a conti fatti, per oltre trenta chilometri. Impensabile che lo stesso percorso possa essere stato fatto da una normalissima Skoda Felicia in piena notte in un gennaio sotto zero e con la neve ad imbiancare quei monti. L’equazione si presentava subito semplice e lineare, ad una sola incognita. Il povero Geracitano non aveva fatto quella strada con la sua auto. Non era salito da Stilo passando per la Ferdinandea. Quindi… quindi, beh, già questo era un primo risultato importante dell’accertamento. Ne arrivarono altri, di risultati, ed il faldone delle perizie tecniche da me elaborate nella piena convinzione della innocenza di Fernando Spagnolo è aumentato considerevolmente di spessore in un anno e più di attività di consulente di Parte. Adesso i difensori del signor Fernando Spagnolo sono l’avvocato Maria Teresa Caccamo e l’avv. Fabio Rocco, mentre lui sta affrontando il processo a suo carico che si celebra presso la Corte di Assise di Locri.
In numerose intercettazioni dei dialoghi col figlio, è lo stesso Spagnolo ad auspicare che nel suo caso si faccia strada la Vera Verità, sicuro com’è che questa verità non lo travolgerà, ma anzi, lo salverà.
La vera novità però è che per la prossima udienza Fernando Spagnolo si siederà al fianco dei suoi legali, non sarà più dunque oltre le sbarre dell’aula di udienza di Corte d’Assise a parlare al telefono interno con i suoi difensori. Forse a molti la notizia è sfuggita, e quindi mi preme spendere qualche parola per farlo presente. Fernando Spagnolo agli inizi di dicembre è stato scarcerato dal Tribunale della Libertà, che ha accolto una istanza dei suoi difensori, dando un senso ad un anno e mezzo di lavoro e di sacrifici.
Fernando Spagnolo ha riabbracciato i suoi figli e sua moglie, e trascorrerà a casa il Natale.
Non chiedetemi di dirvi altro, per me è questa la cosa più importante. Pensare di aver contribuito anche col mio impegno a rendere un servizio alla giustizia, ed a ricomporre una famiglia incolpevolmente entrata in una centrifuga giudiziaria e mediatica, robustamente alimentata dalle sibilanti morbosità ed ottusità del “tutto quanto fa spettacolo”.
Buon Natale Fernando, con l’augurio che torni presto la pace nella tua famiglia.
*: consulente di Parte, architetto e scrittore