Segnatamente l’articolo 341bis del Codice Penale sancisce come “Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto di ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”. Punto e fine delle trasmissioni, che è quanto, lo si ribadisce, prevede la vigente normativa italiana, non essendoci dunque bisogno di ricorrere a delle misure che, peraltro, andrebbero come a giustificare la violenza stessa.
di Antonio Baldari
Il mondo della Scuola italiana è sempre in un continuo fermento, perché non ci sono dei punti fermi da cui non si può prescindere per conferire maggiore ordine e disciplina proprio in un ambiente che, al contrario, dovrebbe darne e non subirli; ed invero, tiene banco in questi ultimi giorni la proposta del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, di rendere possibile l’accesso alle Forze dell’Ordine in quelle aree particolarmente a rischio, che ha visto, sin da subito, delle reazioni contrastanti ed avverse tra i soggetti che le hanno promosse.
L’associazione nazionale dei Presidi si è detta prudentemente favorevole in considerazione del fatto che si vorrebbe prima leggere le carte relative all’applicazione di tale provvedimento; alcune sigle sindacali così come il movimento dei genitori si sono detti, invece, contrari nel momento in cui, a loro avviso, si andrebbe a trasformare gli edifici scolastici in veri e propri “fortini”: insomma quella che possiamo definire “militarizzazione” della scuola non conosce pareri univoci ed è di là da venire.
Piuttosto, si vorrebbe in questa sede richiamare il concetto espresso dal titolare del dicastero di viale Trastevere circa il “Restituire l’autorità alla scuola”, che sta alla base dell’istituzione scolastica in generale e più specificatamente in capo all’Istruzione, una delle tre gambe su cui si regge una Società che si dica “civile”, unitamente a Giustizia e Sanità: al riguardo, si vuole richiamare la natura propriamente istituzionale di un insegnante/professore, comunque docente in senso più ampio, posto che egli/ella è a tutti gli effetti un “Pubblico Ufficiale”, per come del resto è previsto dalla legge, particolarmente quando gli/le viene impedito tale esercizio.
E segnatamente l’articolo 341bis del Codice Penale sancisce come “Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto di ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”. Punto e fine delle trasmissioni, che è, lo si ribadisce, quanto prevede la vigente normativa italiana, non essendoci bisogno di ricorrere a delle misure che, peraltro, andrebbero come a giustificare la violenza stessa.
Se si vuole restituire autorità, per non dire più appropriatamente “autorevolezza” alla Scuola italiana, si facciano rispettare le leggi applicandole, dopodiché, da questo, si potrà mettere più nettamente i paletti necessari tra il docente che farà il docente ed il genitore che farà il genitore, nei rispettivi ruoli e compiti loro assegnati: l’invasione di campo a cui si assiste, ormai, senza freni nella Nazione prescinde anche e soprattutto da questo, non Le pare, signor ministro?