MONASTERACE – La parola “identità” è uno dei termini più usati, e spesso abusati, nel dibattito culturale e politico. Spesso viene impiegata per indicare un nucleo di persone dai tratti culturali presunti omogenei che si troverebbe in conflitto con altre identità: il tipici esempi a riguardo sono i richiami all’identità occidentale contro una presunta minaccia islamica, o i richiami all’identità italiana contro una presunta invasione dei migranti. Il problema è che, al di là dell’uso polemico, spesso chi usa questo termine non ha ben chiaro, dal punto di vista del contenuto, da cosa sia composta quest’identità.
Arrivato alla sua terza edizione, il convegno di Monasterace su San Nicola di Bari (che con Sant’Andrea Avellino è uno dei santi più amati del paese) ha lo scopo di mettere in rilievo, tramandare, comunicare, un contenuto vero, forte, attivo per secoli, e tuttora vitale, nella cultura del luogo. In altre parole di esprimere, e mostrare, l’identità culturale del paese.
La festa di San Nicola si svolge ogni anno il 6 dicembre, e consiste, tra l’altro, in una lunga salmodia in latino, imparata a memoria, recitata, cantata, dai membri dell’Arciconfraternita del Santo.
Il culto di San Nicola, di origine bizantina, è una specificità del Sud, della Calabria, della provincia di Reggio Calabria, ed è quindi radicato da secoli precisamente in questi luoghi. Ma San Nicola fa parte di una rete cultuale (e culturale) molto più vasta. Basti ricordare che è il Patrono di tutte le Russie, che la devozione a lui indirizzata si è spinta fino in Nord Europa. E che la sua figura si è trasformata in un’icona pop planetaria: stiamo parlando naturalmente di Babbo Natale, la cui immagine è nata in ambito pubblicitario a New York nell’800 su una suggestione di origine olandese, e in Olanda il Santo veniva chiamato San Nicolaus (da cui deriva il nome di Babbo Natale, Santa Claus).
Come si vede si tratta di un personaggio che ha attraversato epoche, culture, civiltà diverse, sempre portando con sé segni di una propria identità. Una figura archetipo tra Oriente antico e Occidente moderno.
La sua festa che cade nel periodo invernale, e nella cultura popolare è spesso più importante di quella natalizia, si lega a scansioni temporali legate ai cicli delle stagioni. Il suo culto (di cui quello che succede a Monasterace il 6 dicembre è un esempio eminente) ci mostra che per comprendere la nostra stessa identità, le relazioni geografiche con altri popoli, perfino la modernità più spinta, possiamo tranquillamente passare dagli usi legati alla cultura popolare, tradizionale. Che con le sue cristallizzazioni secolari è tutt’altro che cultura di serie b (rischia di esserlo invece una modernità liquida, senza passato, neoprimitiva), ma è invece un contenuto forte della nostra identità. Ecco perché prendere una frase dello scrittore Giuseppe Marotta, “Dio ci parlerà in dialetto” come titolo della terza edizione del convegno si San Nicola. Partire dalla cultura popolare, dal dialetto, da quel sistema raffinatissimo che regola la vita e scandisce il tempo, non è una regressione. Al contrario, è un modo di capire l’identità del qui e ora, per arrivare all’’altrove. E al dopo.
“Dio” e “dialetto”, dunque. L’edizione di quest’anno è tutta centrata sul rapporto tra la Trascendenza e i luoghi e i linguaggi, in cui si esplica.
L’amministrazione Comunale di Monasterace