di Gianluca Albanese
SIDERNO – «Ritiene la Corte che il compendio probatorio agli atti fornisca adeguato sostegno al riconoscimento della penale responsabilità di Tommaso Costa per l’omicidio di Gianluca Congiusta».
Quanto appena riportato è il passaggio fondamentale delle motivazioni della sentenza di condanna all’ergastolo per Tommaso Costa, pronunciata dalla Corte di Assise d’Appello di Reggio Calabria, sezione seconda, composta dal presidente Roberto Luciano, dal consigliere Marialuisa Crucutti e dai giudici popolari Rodolfo Di Paola, Giovanni Lollio, Maurizio La Manna, Antonino D’Agostino, Domenico Rechichi e Melchiorre Mannino lo scorso 28 giugno, e depositata in cancelleria lo scorso 22 settembre.
Secondo la Corte d’Appello, dunque, sono da escludere tutte le causali alternative originariamente ipotizzate, accogliendo come plausibili solo le motivazioni riconducibili alla volontà di rilancio e riaffermazione della consorteria criminale dei Costa, risultata soccombente nella faida contro i Commisso che insanguinò Siderno negli anni ’80.
Una volontà che, secondo il collegio giudicante, era manifestata in maniera palese proprio dall’imputato e boss Tommaso Costa, che nel corso dei colloqui con i propri sodali e congiunti, amava ripetere che «A Siderno non c’è un solo colore» e che dopo il raggiungimento della pax mafiosa in città «Bisogna dividersi le zone d’influenza».
Un disegno criminale rovinato dalla consegna di una lettera contenente richieste estorsive indirizzata all’imprenditore Antonio Scarfò e portata a conoscenza ad alcuni esponenti della cosca rivale dei Commisso tramite il genero dello Scarfò, ovvero Gianluca Congiusta, ucciso a colpi di fucile caricato a pallettoni la sera del 24 maggio del 2005.
Secondo le motivazioni della sentenza, proprio la consegna della lettera avrebbe generato in Costa il fondato timore di ritorsioni da parte dei Commisso, causando la conseguente convergenza di un movente punitivo, di un movente estorsivo e di un movente strategico.
Secondo quando riportato dai giudici della Corte «Il dinamismo e l’attivismo di Gianluca Congiusta (certamente non condivisibili, per essersi il giovane mosso dietro le quinte, una volta messo a conoscenza della lettera pervenuta al suocero, ed aver coinvolto soggetti a loro volta gravitanti in circuiti criminali del luogo)» ne hanno «determinato un livello assai elevato di sovraesposizione, tanto da farlo individuare come lo snodo fondamentale per la consumazione dell’azione ritorsiva intrapresa».
Costa, anche durante i periodi di detenzione, voleva rinconquistare spazio nello scenario criminale cittadino, puntando all’egemonia della zona di competenza, in cui ricadeva, appunto, l’azienda di Antonio Scarfò, padre di Katia, all’epoca dei fatti fidanzata con Gianluca Congiusta, tanto da costringere l’imprenditore ad assumere due congiunti del boss Tommaso Costa che chiedeva anche una tangente fissa mensile di mille euro.
Secondo la ricostruzione dei giudici di Appello, il delitto sarebbe stato consumato durante il periodo di latitanza di Tommaso Costa, uscito da carcere il 21 gennaio del 2005 dopo aver beneficiato del provvedimento d’indulto e colpito da un nuovo ordine di carcerazione il 12 marzo del 2005, per poi essere arrestato nella propria abitazione il 6 dicembre dello stesso anno.
In quel periodo, Tommaso Costa era a Siderno, tanto che tra marzo e aprile, sempre secondo quanto riportato nelle motivazioni della sentenza, sarebbe andato da Scarfò a sollecitare dei pagamenti a favore del fratello Pietro (all’epoca dei fatti dipendente dell’azienda di Scarfò), avrebbe consumato il delitto Congiusta il 24 maggio e quello di Pasquale Simari il 26 luglio a Gioiosa Ionica, omicidio per il quale sta scontando la pena dell’ergastolo con sentenza passata in giudicato, per aver affrontato il rivale a volto scoperto e in una zona trafficata, finendolo con un colpo alla nuca mentre era a terra agonizzante.
A corroborare il quadro dell’accusa, le rivelazioni del collaboratore di giustizia Domenico Oppedisano, fratello di Salvatore Cordì, che raccolse alcune confidenze dello stesso Gianluca Congiusta, e la sentenza di condanna in primo grado per l’ex fidanzata di Congiusta Katia Scarfò e dei suoi genitori Antonio Scarfò e Girolama Raso, per falsa testimonianza.
Solo nel corso di un interrogatorio reso al Commissariato di P.S. di Siderno nel 2006 (quando, ancora non era di dominio pubblico la vicenda della lettera estorsiva ai suoi danni), Antonio Scarfò ammise agli uomini con a capo l’allora vice questore Rocco Romeo, il collegamento tra l’omicidio del genero Gianluca Congiusta e i tentativi di estorsione allo stesso Scarfò.
Le indagini precedenti al rinvio a giudizio di Costa, esclusero le altre piste in un primo tempo adombrate, come quella dell’omicidio per ragioni sentimentali dovute alla esuberanza amorosa di Congiusta o a un suo ipotizzato coinvolgimento in un giro d’usura.
La sentenza, dunque, dà ragione ai familiari del giovane imprenditore sidernese, difesi dagli avvocati Geppo Femia e Pino Sgambellone, e pone fine, al momento, a un lungo iter giudiziario, caratterizzato da un rinvio in Appello da parte della Corte di Cassazione.
Per completezza d’informazione, dobbiamo comunque dare conto di una lettera inviata nei giorni scorsi dallo stesso Tommaso Costa agli organi d’informazione, della quale riportiamo di seguito il testo:
«Sono Tommaso Costa. Dopo quasi 11 anni mi rivolgo alle pagine di questo giornale per ripetere ciò che ho scritto allora e che ripeterò finché avrò forza. Non ho ucciso Gianluca Congiusta, non sono responsabile della sua morte. Vorrei che fosse ben chiara una cosa: io sono stato già condannato all’ergastolo in via definitiva per un altro delitto. Pertanto la mia vita, la mia fine di uomo e giudiziaria è stata decisa al momento della condanna definitiva all’ergastolo. L’unica mia via per trovare uno spiraglio di libertà era di autoaccusarmi dell’omicidio Congiusta, ed essendo reo confesso mi sarebbe caduta la pericolosità di cui all’articolo 4bis C.P.. Non posso farlo perché sono innocente e il tempo mi darà ragione. Vorrei chiedere a tutti coloro che sono certi che io sia l’autore del delitto: e se io fossi innocente?
La Giustizia ha trionfato? Nulla di vero. La Giustizia ha perso condannando un innocente, ma sembra che a nessuno importi niente. Voglio porre un interrogativo: perché un giudice popolare ha dato le dimissioni il giorno della sentenza? Cos’è successo?
Giuridicamente è ammesso, ma il fatto è che ha dato le dimissioni senza alcuna giustificazione. E’ successo tutto in silenzio e nessuno si è meravigliato. Come mai? Proprio il giorno del verdetto: non è strano?
Non voglio essere arrogante, ma la condanna per l’omicidio Congiusta non mi costa l’ergastolo perché quello ce l’ho già, ma al fine del cumulo delle pene l’omicidio mi provoca 14 mesi d’isolamento diurno, null’altro, ma anche se fosse un’ora sarebbe grave perché sono innocente, io, invece chi ha architettato questo» «non so se lo sia. Ho i miei dubbi.
Mi corre l’obbligo di ringraziare chi mi ha aiutato, lavorando in mia difesa: l’avvocato Maria Candida Tripodi, che ha svolto un grande lavoro» e «il professore Sandro Furfaro, subentrato in Cassazione che mi ha difeso con professionalità e serietà. C’è una forza che mai nessuno può distruggere o indebolire, ed è la forza dell’innocenza. Quella che ha Tommaso Costa. Ringrazio il giornale per lo spazio. Cordiali saluti. Tommaso Costa».