di Gianluca Albanese (ph. Enzo Lacopo)
LOCRI – «Prima di leggere le motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione che ha confermato l’ergastolo per il mio assistito Alessandro Marcianò, intendo agire subito chiedendo la tutela per l’unico testimone che ha detto la verità su quanto accaduto quel 16 ottobre del 2005, ovvero il ristoratore di Mammola Domenico Spatari, che ha riferito in aula che quel giorno, dalle 16,30 alle 17,05, Giuseppe Marcianò era a pranzo nel suo ristorante con la famiglia. Chiedo che venga protetto perché temo che possa subire delle ritorsioni da parte di gruppi deviati dello Stato. Chiedo inoltre che sia sentito dalla Commissione Parlamentare Antimafia. Per il resto, la nostra pretesa risarcitoria passerà anche attraverso il ricorso alla Corte di Giustizia Europea perché non è possibile che due innocenti siano in carcere».
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Sono alcuni tra i passaggi più significativi della conferenza stampa che il difensore di Alessandro Marcianò, l’avvocato Pino Mammoliti, ha tenuto questo pomeriggio nel suo studio di Locri, insieme ai familiari e ai più stretti congiunti di quelli che, secondo la sentenza, sono ritenuti i mandanti dell’omicidio dell’allora vicepresidente del consiglio regionale Franco Fortugno.
Prima di analizzare le pieghe e le contestate incongruenze della sentenza, Mammoliti ha citato alcuni precedenti storici di errori giudiziari, perché «è inaccettabile – ha detto Mammoliti – che anche in questo caso, come nelle vicende di Enzo Tortora (col Pm Marmo e la sua presa di coscienza tardiva), o Checco Forti (ergastolano a Miami per un omicidio mai commesso) o il caso Mandalà (con la confessione estorta a un teste da un maresciallo dei carabinieri che prima di morire confessò l’errore compiuto ai danni di Gullotti e altri quattro innocenti), è inammissibile che la verità venga desecretata dopo vent’anni».
Mammoliti definisce Alessandro Marcianò «Una persona per bene vittima di una sentenza largamente preannunciata, ed emessa solo per l’esigenza di dare in pasto all’opinione pubblica dei colpevoli».
Sul banco degli imputati il collaboratore di giustizia Domenico Novella «L’unico – ha detto – ad aver fatto i nomi dei Marcianò, dicendo fesserie dall’inizio e ribaltando più volte la posizione di Giuseppe. Lo stesso Novella – ha proseguito l’avvocato – definito “inattendible”, dall’allora procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera. Quel Novella che con la sua chiamata in correità “de relato”, incolpò i Marcianò solo per cose che dice di aver sentito dire da Salvatore Ritorto e le cui dichiarazioni sono state giudicate insufficienti dalla Corte di Cassazione che il 18 dicembre del 2006 annullò con rinvio quanto deciso dal Tribunale della Libertà».
Pino Mammoliti ha spiegato che «Gli unici elementi riscontrati sono insufficienti, come i tre tentativi di contatto telefonico fatti da Salvatore Ritorto ad Alessandro Marcianò ai quali il mio assistito non rispose e l’unica volta che Sandro Marcianò, nei giorni dopo l’omicidio, ricevette qualcuno della famiglia Ritorto a casa sua fu nella notte successiva all’arresto di Salvatore Ritorto, quando andò a trovarlo il fratello Giuseppe, che gli chiese quale avvocato chiamare per difenderlo».
Insomma, a fronte dei tre “squilli” telefonici di Ritorto a Marcianò e alle dichiarazioni “per sentito dire” del pentito Novella, secondo Mammoliti «non c’è altro a carico dei miei assistiti, mentre non mi spiego – ha detto – come non si siano tenute in considerazione sia le dichiarazioni del teste dell’accusa Calau che ammise che tre squilli telefonici non sono sufficienti per incolpare una persona di omicidio, che le testimonianze e i documenti in mano ad altri testi, come il collaboratore di giustizia reggino Annunziato Zavettieri, che a proposito del delitto Fortugno indicò una pista alternativa e relativa a un presunto scambio elettorale tra il compianto Fortugno e ambienti della malavita reggina, o i documenti richiamati dal maresciallo Grasso dei carabinieri o dal poliziotto Consolato Franco. Ecco perché chiedo che anche questi testimoni possano essere auditi dalla Commissione Parlamentare Antimafia».
Anche la moglie di Sandro Marcianò, presente alla conferenza stampa, chiederà di essere sentita dalla Commissione Parlamentare Antimafia, ribadendo che «Mio marito e mio figlio sono innocenti e noi familiari faremo di tutto per riportare la verità su questa vicenda».
La signora Marcianò è un fiume in piena, e si pone tante domande, dal perché della presenza (e della contestata influenza) di molte personalità dell’antimafia nazionale in aula al processo Fortugno o del fatto che l’avvocato della moglie del compianto Fortugno Maria Grazia Laganà fosse Guido Calvi «Che dopo pochi mesi dall’aver ricevuto il mandato – ha spiegato – è stato promosso al CSM».
E così, in attesa del prossimo 25 settembre, quando Domenico Novella sarà sentito in aula nel processo a carico dei cosiddetti “Falsi testimoni” al processo Fortugno, Mammoliti anticipa che «Chiederò al ministero di far fare una conferenza stampa sia a Sandro che a Giuseppe Marcianò, che hanno patito anche una lunga reclusione al 41bis, pur non essendo stati condannati per 416bis e a breve porteremo alla luce la vicenda anche nelle Tv nazionali».
E così, mentre i familiari dei Marcianò preannunciano che la moglie di Giuseppe è pronta a incatenarsi davanti alla seconda sezione della Corte di Cassazione, Mammoliti ricorda che «Dopo gli anni della detenzione dura, Sandro Marcianò fu scarcerato e libero per nove mesi, adempiendo sempre agli obblighi di legge e non gli è mai passato per la mente di provare la fuga, visto che a la coscienza pulita ed era sicuro dei fatti suoi. Oggi purtroppo – ha concluso l’avvocato – lui e suo figlio sono vittime di una verità imposta dalla parte deviata dello Stato».