RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
I finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria di Reggio Calabria – G.I.C.O. – Sezione G.O.A., coadiuvati dal personale del Comando Provinciale Reggio Calabria, stanno dando esecuzione a tredici provvedimenti di fermo di indiziato di delitto, emessi dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di altrettanti appartenenti ad una pericolosa organizzazione criminale dedita al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, tipo cocaina, giunta dal Sud America in Italia attraverso le strutture logistiche dello scalo marittimo di Gioia Tauro grazie alla complicità di alcuni dipendenti portuali. Nel corso delle indagini, dal 2011 ad oggi, sono state complessivamente sequestrate oltre quattro tonnellate di cocaina purissima, che sul mercato avrebbe potuto fruttare alle cosche di ‘ndrangheta introiti per un valore di circa 800 milioni di euro.
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Le indagini, avviate nel marzo del 2011 a seguito del sequestro di una partita di cocaina giunta occultata all’interno di un container presso lo scalo gioiese, hanno consentito di individuare l’esistenza di una vera e propria organizzazione criminale, radicata nel territorio della Piana, che avvalendosi della fattiva collaborazione di personale infedele della società di gestione della banchina merci del porto calabrese, provvedeva a far fuoriuscire i carichi di stupefacente in arrivo dai maggiori porti del Sud America.
Il primo formidabile riscontro alla tesi investigativa è stato ottenuto nell’ottobre del 2011, allorquando, all’ingresso del porto di Gioia Tauro, veniva arrestato TRIMARCHI Vincenzo alias il “Merlo”, dirigente quadro della Società di gestione della banchina merci del porto gioiese, mentre tentava di allontanarsi trasportando a bordo di un furgone sedici borsoni contenenti 560 kg circa di cocaina purissima.
L’arresto nel TRIMARCHI consentiva di ancorare il sequestro dell’ingente partita di stupefacente al sodalizio criminale indagato e confermava le ipotesi investigative avanzate dagli inquirenti circa l’estesa ramificazione delle organizzazioni criminali calabresi nei gangli più importanti del porto di Gioia Tauro.
Infatti, i successivi approfondimenti permettevano di accertare come l’organizzazione criminale fosse capeggiata da BRANDIMARTE Giuseppe, ex dipendente della Società di gestione della banchina merci del porto, il quale, profondo conoscitore delle dinamiche operative all’interno dello scalo, proprio in virtù dell’esperienza maturata, poteva contare sull’assoluta ed incondizionata collaborazione di diversi dipendenti infedeli. Membro di spicco dell’organizzazione si è rivelato essere, altresì, il fratello BRANDIMARTE Alfonso, anch’egli ex dipendente della Società portuale, il quale ha assunto le redini della gestione del gruppo criminale a seguito dell’arresto del fratello Giuseppe per i fatti inerenti la faida BRANDIMARTE – PRIOLO, vicenda per la quale lo stesso BRANDIMARTE Giuseppe diveniva bersaglio di un agguato nel centro di Gioia Tauro, al quale sopravviveva miracolosamente, nonostante i quattordici colpi d’arma da fuoco esplosi ai suoi danni.
Nonostante due ulteriori ingenti sequestri di circa 622 kg e 100 kg effettuati rispettivamente nel giugno e nel mese di ottobre 2012, riconducibili allo stesso sodalizio criminale, le indagini consentivano di appurare la capacità della predetta organizzazione di mutare repentinamente le proprie metodologie garantendosi quell’efficienza operativa nonché la necessaria fiducia accordatagli dalle maggiori cosche di ‘ndgrangheta, infatti veniva accertato come il gruppo capeggiato dalla famiglia BRANDIMARTE potesse essere paragonato ad una vera e propria società di servizi, specializzata nella gestione e nella fuoriuscita dallo scalo portuale calabrese delle partite di cocaina in arrivo dal Sud America.
Dalle attività tecniche d’intercettazione emergeva, inoltre, come il compenso per l’organizzazione fosse pagato con una parte del carico importato corrispondente ad un quantitativo variabile, in relazione al peso specifico criminale della cosca importatrice, tra il 10 ed il 30% del totale del carico. Inoltre, veniva appurato come, in taluni casi, considerata la redditività del business degli stupefacenti, l’organizzazione avesse investito anche e direttamente nell’importazione della cocaina, inviando i propri membri a contrattare direttamente con i narcos sudamericani.
A seguito dei numerosi sequestri di cocaina effettuati dal personale delle Fiamme Gialle dello scalo portuale, dalle indagini emergeva inoltre un costante affinamento delle tecniche studiate dai narcotrafficanti per tentare di eludere i controlli doganali.
Infatti, in particolare, in una circostanza, nelle comunicazioni intercorse tra i sodali, ciascuno dotato di un nome di “copertura”, veniva intercettato un complesso codice alfanumerico con il quale venivano forniti i dati essenziali da comunicare al personale portuale infedele per individuare la nave ed il container contenete lo stupefacente.