Considerando un’informativa sviluppata dal ministro Matteo Piantedosi, il Consiglio dei ministri ha deliberato di conferire mandato all’Avvocatura dello Stato ai fini del ricorso al “Palazzaccio” giustappunto avverso quel provvedimento relativo alle modalità di emissione e alle caratteristiche del sopraccitato documento di identità, disciplinate dal decreto interministeriale 23 dicembre 2015 e successive modifiche, contro la dicitura “Genitore 1” e “Genitore 2” che la Corte d’Appello di Roma ha di recente stabilito con tanto di sentenza, lo scorso 24 gennaio.
di Antonio Baldari (foto fonte agendadigitale.eu)
Non ci sta e ricorre in Cassazione. A tanto è arrivato il Governo centrale romano, guidato da Giorgia Meloni, contro la dicitura “Genitore 1” e “Genitore 2” che la Corte d’Appello di Roma ha di recente stabilito con tanto di sentenza, lo scorso 24 gennaio, al posto della più tradizionale forma “padre” e “madre” sulla C.I.E., acronimo perfetto per Carta d’Identità Elettronica.
Ed invero, considerando un’informativa sviluppata dal ministro Matteo Piantedosi, il Consiglio dei ministri ha deliberato di conferire mandato all’Avvocatura dello Stato ai fini del ricorso al “Palazzaccio” giustappunto avverso quel provvedimento relativo alle modalità di emissione e alle caratteristiche del sopraccitato documento di identità, disciplinate dal decreto interministeriale 23 dicembre 2015 e successive modifiche.
La sentenza della Corte d’Appello di Roma aveva bocciato il decreto del 2019 che venne all’epoca firmato dall’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che prevedeva il ritorno sulla carta d’identità dei minori della dicitura “padre” e “madre” anche nei casi di figli di coppie gay; in quella circostanza, secondo i giudici sulla carta d’identità di un minore non possono essere riportati dati diversi da quelli dei registri di anagrafe, da cui ne discende l’utilizzo del più generico termine “genitori”.
Al riguardo si ricorda che già nel novembre del 2022 il tribunale di Roma diede ragione alle due madri di una bambina che avevano chiesto di ottenere un documento che rispecchiasse la reale composizione della famiglia, senza definire “padre” una delle due donne: la sentenza del decorso mese di gennaio ha imposto il ritorno alla dicitura “genitori o chi ne fa le veci”, in buona sostanza tutto pur di non tornare a “padre” e “madre”.
Che ispirò la reazione abbastanza piccata di Matteo Salvini, oggi vicepresidente del Consiglio nonché ministro con delega ai Trasporti ed alle Infrastrutture, che nel merito ebbe a dichiarare come “Ognuno deve sempre essere libero di fare quello che vuole con la propria vita sentimentale, ma certificare l’idea che le parole mamma e papà vengano cancellate per legge è assurdo e riprovevole, questo non è progresso”, aveva denunciato il leader della Lega.
Diametralmente opposte le reazioni della sinistra e delle associazioni Lgbt, su tutte “Famiglie Arcobaleno”, che avevano rimarcato come nella sentenza “I giudici di Appello abbiano ribadito un concetto molto semplice: sulla carta d’identità di un bambino/bambina non possono essere indicati dati personali diversi da quelli che risultano nei registri dello stato civile” – affermarono in quella sede. Da oggi un nuovo scontro in tribunale.