R. & P.
È in termini di debolezza che parliamo di Aspromonte orientale, quando con pochi sindaci e qualche associazione ci ritroviamo dinnanzi Ettore Castagna; perché deboli sono le infrastrutture e le vie di comunicazione, deboli i paesi abbandonati dopo le alluvioni, deboli i castelli secolari e i santuari, debole è l’immagine vera di noi: siamo icone di una storia che è stata inghiottita dalla montagna. Massacrata dai media. Strumentalizzata dagli “anti” di ogni generazione.
Si scava nel dolore, con molta onestà, tra pause di silenzio e qualche rimostranza, ma è un passaggio necessario il comprendere.
Chi siamo?
Siamo un popolo che cammina in bilico sui burroni, come fossero – le nostre strade intagliate nella roccia – morbidi sentieri di campagna. Le nostre mani sono nere e callose, ma riconoscono al tatto la qualità di una terra, o la consistenza di pietre e legnami.
Sappiamo accendere fuochi nella neve, e usiamo le erbe come se avessimo a disposizione le mille varietà di una dispensa: profumi, detergenti, medicine, cibo. La montagna è casa.
Tra le pareti a picco sul mare, e tra le gole di burroni internati, abbiamo costruito mulini e palmenti, e senza avere a disposizione floride terre di pianura abbiamo coltivato vitigni pregiati e numerose varietà di grano. Esse sono cresciute al punto di divenire tradizione.
La nostra voce è forte, l’intonazione marcata, perché per secoli, conducendo le greggi al pascolo, abbiamo dovuto sovrastare l’eco dei dirupi e l’altezza delle vette, o il grido di fiumare in piena tra le rocce. Ed è poggiandoci velocemente lo sguardo che rileviamo la vita in un bosco, scaviamo dentro le intenzioni di un uomo, anticipiamo le azioni di una bestia: su sentieri troppo stretti si cammina sempre in fila indiana, affidando le spalle al destino…
L’Aspromonte inaccessibile, incontaminato, spiega perfettamente chi siamo, ma è una simbiosi talmente stretta e carnale da ritorcersi contro il popolo, come una debolezza.
Ed è in termini di debolezza che parliamo, stasera, di Aspromonte orientale, con i sindaci e le associazioni che pretendono che si narri un’altra storia; mentre il professore Castagna, musicista e antropologo, spiega come un profilo troppo inusuale, ma così ben definito nella disperazione, possa – per paradosso – tramutarsi in forza. Faremo un festival, e negli squarci conosciuti solo da pochi escursionisti porteremo concerti, gente, poesia. I musicisti cammineranno con gli strumenti in spalla per raggiungere anfiteatri montani, pianori suggestivi, paesi abbandonati, cascate dimenticate. Ci penserà la natura ad amplificare il suono, e nell’aria della Valle delle grandi pietre, o nel parco dei dinosauri di Campolico, si spargeranno note di musica classica e teatro in versi.
Sarà un festival tutto aspromontano, carico di storie e sporco di polvere, che accenderà le luci sui castelli medievali, busserà con discrezione alle chiese bizantine, si rifarà ai gusti tradizionali e ai costumi dei paesi dell’entroterra; attraverserà Africo, Ferruzzano, Sant’Agata, Casignana, Samo, Platì, Ardore, Ciminà, Portigliola. In dieci, venti, cento tappe? Nessuno ancora lo può dire.
I sindaci tracciano stasera un labile schizzo a matita, esso potrebbe abbozzare un progetto o un sogno; se l’uno o l’altro dipenderà dalla gente che sosterrà il progetto, poco dalla politica, tutto dalla partecipazione.
Ettore Castagna, profondo conoscitore della nostra terra, ci ha aiutati a comprendere i passi da fare, e già i sindaci si organizzano in modo autonomo per scandire i tempi burocratici, le delibere da proporre ai rispettivi Consigli e le scadenze da rispettare.
Per la prima volta una rete variegata di persone, tra volontari e amministratori, dialoga insieme; lo fa puntualmente, dimostrandosi sensibile alle problematiche del territorio; lo fa in modo propositivo, senza strumentalizzazioni, vittimismi e fuori dai luoghi comuni.
Sarà a febbraio, secondo il calendario stabilito, che il progetto prenderà forma, e già dalla prossima estate grazie a questo Festival si metteranno in sinergia quei paesaggi dell’entroterra ancora poco conosciuti, che hanno necessità di raccontarsi alla stampa e ai visitatori.
C’è voglia e c’è vita, e c’è un seme nascosto dalla terra. Ma di passu cantundu, come i popoli antichi, ridestando dal sonno gli dei oziosi, spaventando le ninfe ai ruscelli, su mulattiere che furono dei carbonai, nascerà l’Aspromonte bizantino.