(foto e video di Enzo Lacopo)
LOCRI – Un pubblico sfogo. O, se preferite, la necessità di guardare negli occhi i propri concittadini e i compagni di viaggio nell’attività politica, spiegando che le accuse mossegli nell’ambito del procedimento “Mandamento Ionico” «Verranno presto smontate», e cogliendo l’occasione per trattare i tanti nodi irrisolti della giustizia penale italiana, dall’uso indiscriminato delle intercettazioni nelle attività d’indagine alla mancata separazione delle carriere tra le figure di giudice e pubblico ministero.
La conferenza stampa indetta questa sera dall’avvocato Pino Mammoliti, destinatario di un avviso di garanzia nel procedimento “Mandamento Ionico” è stata tutto questo, e anche di più.
Mammoliti tocca le corde dell’uditorio mettendosi a nudo – metaforicamente parlando – senza remore, non rinunciando alla sua impronta “non allineata” e a tratti anche ironica quando, alludendo alla sua attività professionale che, a suo dire, gli avrebbe puntato addosso i riflettori degli inquirenti, dice che «Meno male che non faccio l’ostetrico o il ginecologo, altrimenti sarei rimasto incinta».
L’evento inizia all’orario fissato. Solo la sede è diversa da quella preannunciata. Non più la corte del palazzo di Città, che aveva fatto sorgere alcune questioni di opportunità, ma un angolo della villa antistante la casa comunale.
Accanto a lui, al tavolo dei relatori, i suoi difensori Rosario Scarfò e Domenico Piccolo; di fronte, una platea di una ventina di persone, dagli attuali consiglieri comunali d’opposizione Antonio Cavo e Maria Davolos, all’ex consigliera Lucia Pelle, fino agli esponenti del centrosinistra cittadino Emanuele Capogreco (Si), Maurizio e Teresa Celestino, Alessandra Fragomeni (Libera Polis), Marcello Pezzano e Pietro Parrotta (LocRinasce), fino ad alcuni compagni di avventura di “Spazio Aperto”, come l’ex sindaco di Caulonia Nicola Frammartino e l’attuale consigliera di maggioranza dell’antica Castelvetere Elisa Cannizzaro.
E poi gli amici di sempre: Paolo D’Agostino (primo segretario del Pd di Locri), Ornella Ruggia, Olga Carusetta e una rappresentanza di cittadini.
Dopo una breve introduzione, Pino Mammoliti offre all’uditorio il solito eloquio ricercato e mai banale, premettendo che «A 21 anni fui nominato assessore: ero il più giovane d’Italia e m’invitò al suo show anche Maurizio Costanzo. Oggi ne ho 52 e sono ancora qui, perché non ho mai interpretato i miei ruoli istituzionali come ascensore sociale. Mi accusano di contiguità con alcuni miei assistiti, di concorso esterno in associazione mafiosa, per via della mia attività professionale, ma se questi avessero davvero “investito” su di me come rappresentante politico, avrei reso loro un pessimo servizio, visto che mi sono dimesso spesso e sistematicamente, anche in maniera repentina. Non possono accusarmi degli atti di generosità mia nei confronti degli ultimi, delle persone in difficoltà. Mi appello alla memoria storica dei locresi e ricordo che quando alcuni agricoltori decisero di coltivare i terreni della Fondazione Zappia chiesi pubblicamente che quest’ultima fosse gestita da don Luigi Ciotti come commissario, proprio per dare un segnale forte. La mia professione mi ha impedito di ottenere il rinnovo della tessera del Pd, ora sono indagato, mentre chi chiedeva il voto ai miei assistiti Cordì e Cataldo si è sempre candidato alle massime assemblee legislative senza subire l’onta delle torture investigative».
Non manca un riferimento diretto al suo “accusatore”; o meglio a quel Cataldo Antonio classe ’64 nei cui dialoghi intercettati, secondo Mammoliti «Nonostante non lo abbia mai difeso come avvocato, s’improvvisava politologo alla Sartori in un salotto di Bruno Vespa, snocciolando presunte cifre di voti tributati alla mia persona, dimenticando che già nel 1986 presi 678 voti di preferenza, pur senza avere un grosso nucleo familiare alle spalle, men che meno comparaggi vari. Basta leggere le carte dell’inchiesta “Mandamento Ionico” per sapere chi è stato a beneficiare dei voti di quella consorteria che quel “politologo” primo citato reputava come i miei “hooligans”».
Quindi, la promessa: «Quando tutto questo sarà chiarito, tornerò a fare l’avvocato (ora mi sono autosospeso dal consiglio dell’Ordine forense) e il politico come ho fatto in tutti questi anni, e invito i giovani a non perdere mai il loro impeto di solidarietà verso chi soffre. Ho chiesto di essere interrogato al più presto e ho già ottenuto da una signora il cui figlio fu da me aiutato in un momento di difficoltà, quando rimase detenuto in una vicenda legata al traffico di stupefacenti, di testimoniare a mio discarico. Ora quel giovane, figlio di una grande lavoratrice che versava piccoli acconti frutto del suo lavoro di lavapiatti in una nota struttura gioiosana, è diventato ricercatore di una prestigiosa università americana, e viene qui solo saltuariamente. Ho sempre aiutato chi versava in condizioni di bisogno, assicurando libri, medicinali, cure mediche e piccole somme di denaro per le esigenze quotidiane, senza finire mai intruppato nei plotoni dell’ipergiustizialismo e dell’ipergarantismo, ma sempre al fianco delle istituzioni sane e contro quel familismo amorale che ha rovinato la politica e i partiti, anche e soprattutto in questa città».
E il gran finale: «La nostra realtà è fortemente contaminata dall’”Alzheimer sociale”, si perde la memoria di quello che si è fatto, ci si professa paladini dell’antimafia di parata la mattina e poi si fanno accordi sottobanco di notte, a partire dai fondi della 488 a tutta una serie di altre nefandezze. Oggi sentivo il dovere di dire tutto questo ai miei concittadini, senza difendermi dal processo, ma nel processo, e in questi sette anni d’incercettazioni telefoniche a mio carico, non sarà difficile rinvenire tutte quelle volte che ho disturbato il vescovo per dire una preghiera in più per le tante figure esemplari del nostro territorio scomparse prematuramente. Mi rivolgo a chi partecipa alle grandi adunate antimafia per cercare di costruirsi una verginità, o a chi va dal parrucchiere la sera per farsi i “selfie” da mandare a Rosy Bindi la mattina dopo, ai miei colleghi che dicono che tra un avvocato e un assistito bisogna tenere le distanze frapponendo sempre un tavolo, a chi crede che sia compromettente prendere un caffè con un proprio assistito o farsi due passi con lui per parlare di come pensare a un futuro per i suoi figli lontano da contesti criminali: la nostra non è una realtà grande, siamo appena in 13.000 e non mi fido di chi dice che è facile tracciare una linea di demarcazione chiara nei rapporti interpersonali. Certo, se servirà in futuro, sarò un poco più prudente, ma non mi snaturerò mai e non dimentico le parole del dottore Gratteri quando dice di fare attenzione all’antimafia di facciata perché è la più pericolosa».
Il suo collega Domenico Piccolo, definito da Mammoliti «Il mio storico difensore» aggiunge che «Per me Pino Mammoliti ha sempre rappresentato un modello professionale, e mi fa specie che chi, dalla lettura del decreto di fermo risulta essere il reale beneficiario dei voti delle locali consorterie non sia stato nemmeno sentito come persona informata dei fatti, mentre il mio assistito è sotto indagine».
L’altro difensore Rosario Scarfò ammette che «Il carattere geniale e vulcanico, il modo disorganico col quale interpreta la sua attività renderà più difficile svolgere questo incarico, ma non possiamo accettare certe leggerezze contenute nel decreto di fermo e certe illazioni di chi, evidentemente, dimentica come Mammoliti abbia rischiato più volte la vita e il contributo dato in alcune grandi operazioni contro ‘ndrangheta e usura. La stessa perquisizione del suo studio, sebbene sia stata fatta dalle forze dell’ordine e dalla magistratura con grande tatto, rappresenta comunque un atto “violento”, nel momento in cui sono state passate al setaccio le lettere di detenuti che chiedevano aiuto al loro avvocato, o le foto di suo padre, scomparso da poco, o di suo figlio, in mezzo ai libri».
Nel rispondere ad alcune domande rivolte dal pubblico e dai molti giornalisti presenti, Mammoliti ha ribadito che «Bisognerebbe usare con maggiore criterio le intercettazioni e limitare lo strapotere che certa magistratura esercita sulla politica, su certa stampa e sulla stessa avvocatura, troppo spesso prone nei confronti di determinati poteri. Voglio dire a tutti che non sono il Vito Ciancimino di Locri e che è necessario prevedere meccanismi di responsabilità per i magistrati che sbagliano e una separazione delle carriere tra giudici e Pm».
Nel frattempo si è fatta una certa ora, e la luce fioca dei lampioni non permette più di vedere in maniera chiara i volti dei presenti. A Mammoliti, che si ritiene «Un privilegiato, perché molte altre persone che si trovano nella mia stessa situazione non possono spiegare alla gente le loro ragioni come sto facendo io» non rimane che dire «Quando ci si trova soli e senza affetti, si può cedere alla tentazione di salutare tutti e farla finita. Serve una grande fede per andare avanti, e io questo dono non l’ho affatto perso».
IL VIDEO DI ENZO LACOPO CON LA CONFERENZA STAMPA INTEGRALE