di Gianluca Albanese
SIDERNO – Da sindaco a capo di un’amministrazione ritenuta potenzialmente soggetta a infiltrazioni e condizionamento mafioso a funzionario amministrativo della Prefettura.
Sono trascorsi quattro anni da quel 15 maggio del 2018 quando l’allora Prefetto di Reggio Calabria Michele Di Bari dispose l’accesso ispettivo antimafia al Comune di San Giovanni di Gerace “nell’ambito delle attività di tutela e prevenzione dalle infiltrazioni della ‘ndrangheta nelle istituzioni locali”.
Nel piccolo paese a vocazione agricola della Vallata del Torbido abitato da meno di 500 anime e famoso per il percorso naturalistico de “La Scialata” (paradiso degli amanti del trekking), per il Santuario della Madonna delle Grazie e per i tempi in cui la “Sagra della soppressata” attirava frotte di visitatori da tutto il meridione, governava un sindaco di 37 anni, eletto con 195 voti contro i 157 del suo avversario William Alì. Si chiama Giuseppe Vumbaca, per tutti “Pino”, laureato in legge. Nel discorso d’insediamento del 13 giugno 2014 esordì aprendo all’opposizione, citando il Francesco De Gregori di “Adelante adelante” e il John Lennon di “Imagine”. Il sindaco, che fu eletto per la prima volta consigliere quando aveva 18 anni, ringraziò i suoi predecessori Nesci e Pittari – ambedue si chiamano Giovanni, come il santo patrono del paese – concludendo con una speranza: “mi trovo a guidare, grazie a Dio, un gruppo di sognatori, e spero che a questo drappello di menti sognanti se ne possano unire sempre di nuove”.
E il sogno ebbe inizio: l’amministrazione oculata e l’esperienza nella fondazione dell’Unione dei Comuni della Vallata del Torbido ne costituirono i tratti distintivi, condivisi con una generazione di sindaci giovani che portarono una ventata di novità nella Locride: si pensi a Domenico Vestito a Marina di Gioiosa Ionica, Rosario Rocca a Benestare, Domenico Stranieri a Sant’Agata del Bianco e Salvatore Fuda a Gioiosa Ionica. Questi ultimi due sono tuttora in carica.
Poi, un bel giorno, qualcuno scrisse una lettera anonima che gli inquirenti, evidentemente, presero in seria considerazione. L’intenzione dell’ignoto estensore era quella di attribuire a Vumbaca e all’amministrazione da lui retta ipotesi di condotte di dubbia liceità rivelatesi calunnie.
Certo, l’attesa è stata lunga, perché solo il 22 marzo del 2019 arrivava la notifica del decreto di archiviazione del procedimento col quale la Prefettura di Reggio Calabria aveva avviato l’iter teso a verificare le condizioni tali da sciogliere il consiglio comunale. Un “tante scuse” a firma dell’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini, giunto dopo che erano decorsi tutti i termini di legge.
E se per Pino Vumbaca è stata, come da lui stesso dichiarato, “la fine di un incubo” questo non è stato sufficiente a convincerlo a ricandidarsi per il secondo mandato: troppa sofferenza, troppo stress, troppi schizzi di fango gratuito lavati troppo tardi dal “tante scuse” del Viminale. Meglio ritirarsi a vita privata, alla professione di avvocato, alla sua giovane e splendida famiglia. E nel tempo libero tante letture e buona musica d’autore, come il De Gregori di “Santa Lucia”, della quale estrapola un verso che diventa lo “stato” del suo profilo Whatsapp: “Per le persone facili che non hanno dubbi mai; per la nostra corona di stelle e di spine”.
Di nuovo sui libri, inseguendo il sogno di una carriera nell’amministrazione di quello Stato che pochi anni prima gli aveva fatto intravedere “il volto più eccitante della legge, quello che non protegge”. È di questi giorni la notizia della prova concorsuale superata, che gli vale l’ingresso nella Pubblica Amministrazione: funzionario in forza alla Prefettura di Crotone. Un incarico di prestigio che meritano quelli come lui, divenuto suo malgrado simbolo di resilienza.