di Simona Masciaga
Un’ opera discussa è discutibile per l’appuntamento culturale più atteso dell’anno, che addirittura ha rischiato di non andare in scena: il capolavoro di Musorgskji “Boris Godunov” diretto dal maestro Riccardo Chailly per la regia del danese Kasper Holder ha suscitato critiche polemiche e manifestazioni di disappunto.
Dal mattino il Teatro della Scala e la piazza antistante sono stati presi di mira da un gruppo di attivisti di ” Ultima generazione” che ha lanciato barattoli di vernice contro il teatro e le locandine dell’opera, uomini e donne di origine ucraina hanno dato vita ad un sit in di protesta sventolando bandiere giallo blu, da sottolineare anche il malcontento espressamente dichiarato del Console Ucraino. Proteste anche da parte dei sindacati di base e dei centri sociali disdegnati dalle politiche di governo e dell’incremento del carovita lanciando fumogeni contro Palazzo Marino esibendo uno striscione con la scritta “case redito diritto- people before profit”.
A tutto ciò il sovraintende Dominique Meyer ha risposto con lo scindere nettamente l’ambito artistico da quello politico sostenendo che l’opera in questione rappresenta un capolavoro della storia artistica musicale e non un atto sotteso o di palese appoggio all’attuale politica adottata da Putin; la cultura è ben altro.
In realtà l’opera di Musorgskji appartiene ad un progetto teatrale già stabilito due anni fa. Si tratta di un percorso contiguo iniziato lo scorso anno con il Mac Beth di Verdi che si concluderà il prossimo anno con il Don Carlo: Verdi- Musorgskji-Verdi, tre opere aspre e ruvide i cui protagonisti principali sono vittime assetate di potere, di predominio, di avidità incondizionata al punto estremo da compiere delitti fino a raggiungere la follia e quindi trovare la morte.
Boris Godunov è un’ opera introspettiva, epocale al contempo di affascinante narrazione. Tratta dall’omonimo romanzo di Pushkin, su libretto dello stesso Musorgskji, narra una pagina di storia russa e tende emotivamente ad un risveglio delle coscienze, a scuotere gli animi. Un dramma prettamente al maschile, privo quindi di eroine o primedonne, dall’aspetto tetro e cupo, centrato su la voce del basso di Boris zar tiranno splendidamente interpretato da Ildar Adbrazakov già noto al pubblico meneghino per aver rivestito il ruolo dell’ Attila di Verdi due anni orsono e, dove il coro della Scala che rappresenta il popolo è riuscito a cantare in russo senza alcuna difficoltà diventando il vero protagonista della serata.
Grande esecuzione dell’ Orchestra della Scala diretta dal maestro Riccardo Chailly il quale ha creato un perfetto connubio tra strumenti e vocalità dalla forte musicalità armonica e timbrica. Poco apprezzabile la scenografia e la regia: un misto tra realismo e illusione, incubi mentali e allusioni; il popolo è volubile e fa in fretta a cambiare opinione o attribuire il malcontento generale pregresso ai governi attuali. Applaudito l’ingresso in sala del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella accompagnato dalla Presidente del consiglio Europeo Ursula Von der Leyne, della Premier Giorgia Meloni e dal Presidente della Camera Ignazio La Russa. Dopo l’esecuzione delle Inno di Mameli, per la prima volta si è eseguito l’Inno europeo.
Opera discretamente applaudita, non per le capacità artistiche ed esecutive ma per il contenuto stesso proiettato negli episodi della recente attualità.
Foto fonte: TGCom 24; La Repubblica; Agenzia Dire