LOCRI – E’ stato il capitano del Noe dei Carabinieri Paolo Minutoli il protagonista dell’udienza odierna nel processo denominato “Black Garden” che prende il nome dall’operazione con la quale, nel novembre del 2011, amministratori comunali e tecnici furono accusati di gestione illecita di rifiuti al fine di conseguire un ingiusto profitto derivante dal risparmio di denaro dovuto per un corretto smaltimento del percolato, mentre altre contestazioni riguardano la ricopertura e la compattazione giornaliera dei rifiuti, e la manutenzione della discarica di Casignana (nella foto).
Secondo gli inquirenti, infatti, «i soggetti preposti alla gestione del sito abbancavano i rifiuti solidi urbani in aree della discarica consortile non autorizzate e senza previo isolamento dal terreno con apposita geomembrana; sversavano il percolato prodotto dagli Rsu, nel vallone Rambotta; abbancavano rifiuti in quantità eccedenti ai limiti autorizzati; omettevano di provvedere alla copertura e compattazione giornaliera dei rifiuti; consentivano il conferimento di rifiuti anche pericolosi, non ammissibili in discarica; consentivano il conferimento di rifiuti a soggetti non autorizzati, il tutto, allestendo mezzi e attività continuative ed organizzate, per la gestione abusiva di ingenti quantitativi di rifiuti, potuti quantificare solo in parte». Alla sbarra, tra gli altri, il sindaco di Casignana Pietro Crinò, il fratello Antonio (all’epoca dei fatti direttore tecnico della società Zetaemme che gestiva la compattazione e la pesatura dei rifiuti, oltre allo smalitimento del percolato), il socio della Zetaemme Saverio Zoccoli, il progettista Massimo Lafronte e l’operaio Stefano Tallariti. Il capitano, nel rispondere alle domande del pubblico ministero, ha dapprima ricostruito la vicenda, premettendo che «Il sito di Casignana è attenzionato dal 2005, ma le indagini prendono il via da alcune segnalazioni pervenute nel 2008, relative a sversamenti di percolato nel torrente Rambotta, presenza di rifiuti ingombranti e non autorizzati come pneumatici, scarico di camion non autorizzati a conferire i rifiuti». In particolare, nel 2010 l’allora amministratore di Zetaemme Antonio Crinò denunciò un sabotaggio degli impianti che avrebbe causato lo sversamento di percolato nella fiumara «Anche se – ha riferito il capitano Minutoli in aula – i carabinieri di Caraffa del Bianco non trovarono segni di manomissione, mente invece – ha proseguito – riscontrammo alcune parti del sito senza copertura e con geomembrana mancante e l’abbanco di rifiuti anche in zone in cui non era permesso depositarli». L’attività d’indagine del Nucleo operativo ecologico di Reggio Calabria, coordinata proprio dal capitano Minutoli si è basata su intercettazioni telefoniche e riprese video «che hanno dato riscontro – ha detto – a quanto rilevato con analisi svolte in precedenza dall’Arpacal», aggiungendo pure come «Parte del percolato non veniva smaltita nelle vasche destinate all’impianto di depurazione Iam ma veniva condotta all’esterno del sito attraverso un sistema di pompaggio con relativa canalizzazione all’uopo costruita. Facevano così – ha detto Minutoli – per risparmiare sui costi di smaltimento del percolato, ma abbiamo visto pure che i rifiuti non venivano compattati come avrebbero dovuto e che ci sono stati conferimento non autorizzati da parte della Leonia Spa e del Comune di Roccella, pardon, di Gioiosa Jonica che, verosimilmente, erano frutto di accordi sottobanco». A proposito di questi ultimi, su richiesta dell’avvocato di parte civile, il capitano ha chiarito che «Gli accordi furono presi dagli amministratori di Leonia Stiriti e Zetaemme Zoccoli per conferire quattro camion all’insaputa del sindaco Pietro Crinò». Fin qui l’esame del testimone, al quale ha fatto seguito il controesame dei difensori che, per la verità, ha fatto emergere i molti «non ricordo», «se non ricordo male», «mi sembra» del capitano Minutoli. L’avvocato Antonio Speziale, difensore dei fratelli Crinò, ha insistito, nelle sue domande, sul fatto che l’indagine sia stata condotta solo su supporti audio/video e relative risultanze, alle quali non avrebbero fatto seguito delle verifiche fisiche sul posto da parte degli inquirenti, per constatare de visu quanto emerso dalle riprese video e dalle intercettazioni. Almeno il capitano non ne ha memoria, stando a quanto riferito oggi. L’altro difensore Giacomo Crinò, invece, ha chiesto la data d’installazione del sistema di videosorveglianza, che è risultata essere successiva al presunto sabotaggio dell’impianto denunciato dall’ingegnere Crinò e che avrebbe causato la fuoriuscita di percolato nella primavera del 2010. Dalle risposte di Minutoli alle domande dell’avvocato Crinò, inoltre, è scaturito che «La mancanza della geomembrana emerge solo dalle intercettazioni telefoniche e non è stata riscontrata fisicamente», oltre che le assenze «di Pietro e Antonio Crinò nella discarica durante le condotte contestate» con la sola eccezione dell’attivazione del sistema di pompaggio del percolato fuori dal sito che secondo il capitano Minutoli «veniva compiuta dall’ingegnere Antonio Crinò». Un sistema, quello del pompaggio che però, il capitano Minutoli, su domanda del difensore dell’architetto Massimo Lafronte avvocato Antonio Russo ha detto di non aver accertato tecnicamente, specificando che «non possiamo che dedurlo», mentre, sempre su domanda di Russo che ha chiesto al capitano se dalle videocamere installate fosse possibile riconoscere l’identità di ogni persona presente in discarica e inquadrata, il capitano Minutoli ha risposto che «Noi procediamo all’identificazione dei soggetti attenzionati mediante le targhe delle auto che imboccano il quadrivio verso la discarica perchè la fisionomia dei soggetti presenti dentro il sito non è sempre riconoscibile attraverso le videoriprese». Una risposta, questa, che ha suscitato la battuta ironica del difensore di Lafronte che ha osservato come «Le persone che si muovono a piedi si riconoscono dai lineamenti del volto e non dalla targa». L’udienza è stata aggiornata al prossimo 2 aprile.
GIANLUCA ALBANESE