di Gianluca Albanese
LOCRI – E’ stato completato l’esame degli imputati presenti alla seduta odierna del processo “Crimine”, che vede alla sbarra trentasei presunti capi e gregari delle consorterie di ‘ndrangheta della provincia reggina. In apertura di udienza, il presidente Alfredo Sicuro ha conferito gli incarichi a cinque nuovi periti che dovranno trascrivere intercettazioni recentemente acquisite nel processo e, successivamente, ha proceduto all’esame degli imputati.
Molti di loro si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, tra cui Giuseppe Chiera, Antonio Figliomeni, Michele Fiorillo, Antonio Futia, Francesco Gattuso, Giuseppe Siviglia e Giuseppe Giampaolo; quest’ultimo ha motivato la decisione per l’assenza del suo difensore di fiducia. Commisso Roberto, invece, a inizio seduta aveva chiesto di rinviare l’esame a data successiva per la contemporanea indisponibilità a presenziare dei suoi due avvocati difensori ma il giudice ha opposto un diniego, motivandolo col fatto che già nella seduta del 2 (oltre che nelle precedenti) il collegio aveva manifestato la chiara intenzione di concludere oggi l’esame degli imputati. Dunque, anche Commisso Roberto si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Il primo imputato sentito è stato Gangemi Domenico, commerciante reggino residente a Genova che ha premesso di voler chiedere l’acquisizione agli atti di un vecchio interrogatorio reso alla DDA di Genova. Gangemi, e al quale né il PM Musarò e nemmeno gli avvocati difensori hanno inteso rivolgere domande. Gangemi ha reso una lunga dichiarazione spontanea in cui, in sostanza, dice di essere stato a contatto con moltissimi calabresi residenti nel capoluogo ligure “Perché – ha detto l’imputato – vendevo prodotti tipici e avevo un sacco di clienti calabresi anche tra le forze dell’ordine. Altro che luogo in cui i nostri conterranei venivano a riferire di vicende della ‘ndrangheta! Anche sull’organizzazione di feste con un gruppo folk – ha continuato – io mi ero interessato solo per fare da tramite tra gli organizzatori dei party (in una occasione anche il cardinal Bagnasco che come tutti i preti genovesi mi conosceva perché regalavo la frutta alle mense dei poveri) in quanto parente dei musicisti, ma poi finiva lì”. E poi “Mi accusano di avere avuto un ruolo alle elezioni, ma ditemi voi chi non riceve una richiesta di supporto durante una campagna elettorale?” per poi concludere con un duro sfogo: “Signor giudice – ha detto l’imputato rivolgendosi al presidente Sicuro – contro di me c’è una assurda montatura e sono arrivato a pensare che l’accusa di ‘ndranghetista che grava su di me sia dovuta solo al mio essere calabrese perché salutare un conterraneo dicendo “Buongiorno compare” da alcuni è già sufficiente per essere considerato mafioso. Io ho sempre lavorato e non ho mai fatto uno sgarbo a nessuno e vorrei sapere per quale motivo sono recluso da tre anni, quando coi calabresi a Genova avevo solo normali rapporti di amicizia, tipici dei conterranei residenti fuori regione”. Prima di congedare l’imputato, il giudice Sicuro gli ha detto che “Sto facendo il possibile per chiudere quanto prima il processo” che, come è noto, potrebbe sfociare sia in una sentenza di condanna che di assoluzione.
Quindi, l’imputato Giuseppe Antonio Primerano ha risposto alle domande dell’avvocato Marco Martino, mentre il PM non ha inteso rivolgergliene alcuna. L’imputato ha ammesso di conoscere colui che viene considerato il “capo crimine” ovvero il rosarnese Domenico Oppedisano “Dal quale – ha detto Primerano in aula – acquistavo frutta e piantine insieme ai Franzè che conobbi ai tempi in cui già gestivano un ristorante in Germania. Quando ci fermarono i Carabinieri, infatti, trovarono solo due cassette di frutta nel cofano. Io – ha concluso l’imputato – non ho mai avuto problemi con la giustizia e avevo pure il porto d’armi, il cui permesso mi venne confermato sei giorni prima di essere arrestato. Ho sempre lavorato nella Forestale, prima da caposquadra e poi da capo cantiere e le poche volte che sono andato a Polsi coi miei familiari ho sempre pranzato con un panino “al sacco” visto che io e mia moglie abbiamo condotto un’esistenza sempre modesta”.
Dopodiché è stata la volta di due imputati intercettati nella lavanderia di Giuseppe Commisso alias “il mastro” nel centro commerciale “I portici” di Siderno. Rocco Bruno Tassone da Cassari di Nardodipace gestiva insieme alla moglie un bar che era anche posto telefonico pubblico nella frazione del comune montano. Era anche dirigente di una squadra di calcio in cui per un po’ giocò anche il nipote Ilario Damiano Tassone “ che però – ha riferito in aula l’imputato – non fu schierato perché l’allenatore non lo riteneva sufficientemente bravo, tanto che dopo un po’ il ragazzo uscì dalla squadra. Quando fui intercettato a Siderno – ha concluso – ero andato solo a comprare le magliette per la squadra e poi non sono mai stato a casa di Pelle e nemmeno a Polsi”.
Più complesso l’esame dell’imputato Giuseppe Velonà da Motticella ma residente a Roma. Laureato in legge, Velonà è stato accusato sulla scorta di una conversazione captata insieme a Saverio Mollica in cui si parlava della famiglia Scriva e di questioni di ‘ndrangheta, tra cui la famigerata faida del luogo. Velonà, dopo le prime domande del suo difensore ha avuto un attimo di commozione, tanto da indurre il giudice Sicuro a disporre una breve sospensione dell’udienza. Quindi, dopo la ripresa, ha detto che “Da parecchi decenni vivo a Roma e vengo in Calabria non tutti gli anni e solo per una-due settimane ad agosto e non conoscevo nessuno degli altri imputati del processo, almeno prima della mia detenzione. Il pubblico ministero Musarò gli ha rivolto alcune domande su una circostanza specifica, relativa a una conversazione in piazza a Motticella di un 13 agosto “Quando – ha detto l’imputato – sopraggiunse Mollica che chiese un passaggio a Siderno laddove avrebbe dovuto riscuotere dei crediti per la vendita di bestiame. Lo accompagnai ma non sapevo chi avesse dovuto incontrare, men che meno sapevo chi fosse “il mastro””. Il PM ha rilevato che comunque durante la conversazione intercettata Velonà partecipò alla conversazione incentrata sulla famiglia Scriva. “Dissi qualcosa – ha riferito Velonà – perché ero a disagio a stare sempre zitto, anche se si parlava di cose nelle quali io non c’entro nulla. Ma mi rendo conto che fui molto leggero; anzi, un imbecille, specie quando mentii dicendo che ero al corrente di comunicazioni date da Saverio Mollica su fatti di ‘ndrangheta. È vero – ha proseguito – mio fratello è stato ucciso a Roma dopo un tentativo di rapina, ma io dopo quella conversazione rientrai a Roma non accompagnai più Mollica dal “mastro”, anzi, pensai proprio di distaccarmi da lui”. Prima di congedarsi, Velonà ha depositato una memoria scritta.
Ultimo a essere sentito il geometra Vincenzo Nunnari, funzionario Anas e direttore operativo del cantiere relativo alla variante di Marina di Gioiosa Ionica della nuova statale 106, che ha ripercorso tutta la serie di adempimenti burocratici relativi alla costruzione dei pali di fondazione della galleria nel breve periodo in cui fu, ad interim, ispettore di cantiere, prima della nomina, in tale ruolo, di un professionista esterno nella persona dell’architetto Iannone. Nunnari ha riferito, tra l’altro, che “Nessuno dei pali che fanno parte della consulenza del CTU era stato visionato e riportato nei verbali da me redatti”. L’udienza è stata aggiornata al prossimo 17 maggio.