di Antonella Scabellone
LOCRI – E’ iniziata questa mattina e proseguirà nell’udienza fissata per domattina, la requisitoria dei pubblici ministeri al processo “Crimine”, che vede alla sbarra 36 presunti boss e gregari delle principali cosche di ‘ndrangheta reggina.
Davanti al collegio presieduto dal giudice Sicuro (a latere Cosenza e Sergi) i Pm Musarò e De Bernardo (in piedi nella foto) hanno iniziato puntando ad evidenziare l’unitarietà della ‘ndrangheta nei secoli e la solidità del vincolo associativo. “Esiste – ha detto Musarò – una sola ‘ndrangheta nel mondo, un’unica organizzazione. Tutti dati che emergono dalle intercettazioni”. La pubblica accusa ha parlato delle cariche (dalla “Santa” in giù) e delle diramazioni territoriali (provincia, locale, etc.) della mafia calabrese. Musarò ha menzionato i pentiti Paolo Iannò, già capo locale di Gallico, e Giuseppe Costa di Siderno, “ritenuti attendibili”. “Questo processo – ha spiegato – è il frutto di diverse indagini”, prima di soffermarsi sui rapporti tra le cosche reggine dei Tegano e dei De Stefano e tra i boss residenti in Calabria e quelli che si erano stabiliti in Lombardia; non senza un lungo passaggio sulle intercettazioni captate nella lavanderia di Commisso Giuseppe detto “il mastro”. Quindi, il Pm siciliano e il suo collega campano si sono dilungati molto sulla struttura della “provincia” (ricostruita attraverso le dichiarazione di Iannò e le intercettazioni ambientali e telefoniche) “un organo collegiale – ha detto Musarò – fatto da tre mandamenti nata dalla necessità di creare un potere sovraordinato alle locali con funzione accentratrice (come ha spiegato anche Paolo Iannò); una struttura capace di dirimere i conflitti tra le singole locali. Della provincia – ha proseguito – fanno parte soltanto gli elementi di vertice dei tre mandamenti (Reggio Centro, Jonico e Tirrenico) e tra i loro compiti c’è quello di tenere l’equilibrio delicatissimo tra locali e provincia”. Insomma, le dichiarazioni di Paolo Iannò, che ha parlato da una località riservata nell’udienza dello scorso 17 maggio, vengono considerate molto importanti dagli inquirenti che, grazie a loro, hanno anche ricostruito la cronologia delle cariche della “provincia” che, secondo le intercettazioni, sono state assegnate nel lustro passato. Il capo “crimine” – questo il nome della struttura apicale dal quale prende il nome l’intero processo – era considerato, come è noto, il rosarnese Domenico Oppedisano, che raccolse l’eredità del sanluchese Antonio Pelle classe ’32, detto “Gambazza”. La requisitoria, che nella parte finale ha riguardato la minuziosa descrizione dei locali dei centri più grossi, come Siderno, proseguirà, come detto, nella giornata di oggi, al termine della quale si conosceranno le pene che la pubblica accusa chiederà per ogni imputato.