di Gianluca Albanese
LOCRI – «Tutti i sindaci di Siderno sono stati appoggiati elettoralmente dalla ‘ndrangheta, da Cosimo Iannopollo a Luciano Racco, fino ad Alessandro Figliomeni. L’unico primo cittadino che non ha chiesto voti ai Commisso o ad altre cosche è stato Domenico Panetta». Parola di Giuseppe Costa, collaboratore di giustizia sottoposto a esame e controesame nell’odierna udienza del processo “Falsa Politica”, a carico di decine di soggetti (tra cui alcune figure istituzionali del passato) accusate a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso, davanti al collegio presieduto dal giudice Alfredo Sicuro.
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Collegato in videoconferenza da una località segreta, Costa, condannato all’ergastolo per omicidio e 416bis, ha raccontato la sua quarantennale carriera di ‘ndranghetista, iniziata nei primi anni ’70 quando era un ragazzo entrato subito nelle grazie di boss di primo piano come il sidernese Antonio Macrì e il reggino Mico Tripodo.
Dunque, al di là della ormai consueta descrizione della ‘ndrangheta “in bianco e nero” dei suoi “esordi” dal rito di affiliazione curato per lui da Salvatore Scarfò, Vincenzo Ursino, Nicola Scali, Michele Montalto e Giovanni Rispoli, Costa dopo aver detto che «Siderno ha sempre avuto uomini di ‘ndrangheta di primo livello», al di là del folklore di certi riti descritti nel momento in cui dice di aver ricevuto le altre “doti” di ‘ndrangheta e dopo aver compiuto una sommaria descrizione delle ‘ndrine nelle principali contrade di Siderno negli anni ’70 e ’80, nel rispondere alle domande del pubblico ministero Antonio De Bernardo della D.D.A. di Reggio Calabria, ha aggiunto che «Sia l’ex sindaco Figliomeni che l’ex consigliere provinciale Cherubino sono stati sponsorizzati dai Commisso». Ma non solo. Secondo quanto riferito in aula da Costa «Luciano Racco è stato appoggiato dai Commisso quando si è candidato a sindaco di Siderno – a onore del vero a quei tempi la legge sull’elezione diretta del sindaco non era ancora in vigore e questo vale sia per Racco che per i sindaci che l’hanno preceduto – e faceva pure l’imprenditore nel settore dei materiali per l’edilizia, in quanto produttore di prefabbricati in cemento. Di sicuro – ha detto Costa – nella sua attività imprenditoriale, è stato molto aiutato dai contributi presi perché faceva politica».
Tornando su Cherubino, sempre durante l’esame, il teste Costa, che ha risposto in quanto imputato in un procedimento connesso, ha detto di lui che «Si sapeva che aveva studiato e che era un ragazzo molto intelligente e promettente, sempre vicino a Cosimo Commisso, al mastro e a tutta la famiglia. So che faceva parte della ‘ndrangheta da quando aveva vent’anni, anche se, da quello che so, non aveva ricevuto particolari doti. Da uomo politico – ha concluso Costa – doveva darsi da fare su quello che poteva riguardare gli interessi dei Commisso, soprattutto appalti o altre cose di loro interesse».
Dopo una breve pausa, l’udienza è ripresa col controesame, durante il quale quelle che apparivano granitiche certezze da parte del testimone di giustizia, si sono perse, quasi sempre, in ragionamenti confusi, imprecisi e privi di riferimenti concreti.
Addirittura, nel rispondere al controesame condotto dall’avvocato Sergio Laganà, difensore dell’imputato Cosimo Cherubino, Costa ha detto che «Sono stato condannato all’ergastolo ma non ricordo per quale omicidio e quanti di questi omicidi hanno determinato la mia condanna, visto che non mi sono mai preso la briga di andare a controllare. Non so nemmeno – ha aggiunto – se mio fratello Tommaso si sia deciso o meno a collaborare con la giustizia: so solo che è detenuto al 41bis nel carcere dell’Aquila».
Sui rapporti tra la cosca dei Costa e quella dei locresi Cataldo, il teste ha detto solo che «Premesso che non so chi curò il rito di affiliazione di mio fratello Tommaso, so solo che era un amico dei Cataldo ma non necessariamente un alleato di questa famiglia, che a me diede solo un congegno per fare esplodere una bomba, che però non ho mai usato».
Confuso fino a essere quasi contraddittorio, Costa quando ha riferito in aula che «Avevo una macchina blindata che nel 1987 mi salvò da un attentato. Me la fece avere mio fratello Tommaso, ma non so dove la trovò». Laganà ha contestato il fatto che durante il verbale dell’interrogatorio reso da Costa nell’agosto del 2012 disse che a procurare quell’auto blindata ai fratelli Costa furono gli ‘ndranghetisti di Gioia Tauro della famiglia Molè, mentre in precedenza, lo stesso Giuseppe Costa, nel parlare della strategia delle alleanze che mise in atto l’allora boss emergente Cosimo Commisso – parliamo della seconda metà degli anni ’70 – disse che questi, per affermare il proprio potere strinse anche alleanze con la cosca gioiese dei Piromalli, all’epoca alleata dei Molè. Ma tant’è.
Molto vaghi i ricordi di Costa anche riguardo alcune faide storiche come quella reggina tra i De Stefano e i Tripodo, o quella locrese tra i Cataldo e i Cordì «Le conosco – ha detto – solo per sentito dire», sull’omicidio Congiusta («Potrebbe essere stato mio fratello Tommaso a uccidere, così come no») e sulla decisione di Cherubino e dei suoi rappresentanti dell’epoca in consiglio comunale a Siderno di schierarsi a favore della costituzione di parte civile da parte del Comune nel processo Congiusta: «Non ricordo questa cosa – ha detto Costa – ma se Cherubino ha fatto così ha fatto bene. Non so nemmeno se su questo ebbe una polemica con mio fratello Tommaso, anche perché io non vado sempre dietro quello che scrivono i giornalisti».
Sulla data della contestata affiliazione di Cherubino alla ‘ndrangheta e sulla fonte dalla quale avrebbe appreso la notizia, Costa ha tentennato parecchio: «So che c’erano voci secondo le quali era intraneo alla ‘ndrangheta e si prestava per favorire i Commisso e penso che la notizia me la diedero due affiliati alla mia cosca nei primi anni ’90 come Cascio Gandolfo e Peppe Curciarello che all’epoca m’informavano su tutto».
Una tesi, questa, contestata dall’altro avvocato di Cherubino, Francesco Albanese, che ha chiesto al teste a quando risalirebbe la notizia della presunta affiliazione alla ‘ndrangheta di Cherubino; Costa dice di averlo saputo nel 1991, ovvero in piena faida, tanto da chiedersi come possa essere plausibile che un affiliato ai Costa conoscesse i presunti appartenenti non all’ala militare della consorteria avversa, ma i suoi “colletti bianchi”, peraltro alle prime armi.
Lo stesso presidente Sicuro ha chiesto a Costa cosa avesse fatto, in concreto, Cherubino dal suo ruolo istituzionale per favorire i Commisso, col teste che ha risposto «Non lo so nei dettagli, so solo che era a disposizione».
Davide Lurasco, invece, difensore dell’imputato Commisso Domenico classe ’75, ha puntato tutto sulla dimostrazione della scarsa attendibilità del teste, ricorrendo sia all’epoca dei fatti di una sua clamorosa protesta inscenata nel carcere di Cosenza, quando salì sul tetto a dire di non essere mai stato un confidente dei Carabinieri, nonostante le rivelazioni in tal senso di alcuni testi dell’accusa al processo “Siderno Group”: «Non era più facile – ha detto l’avvocato Lurasco – querelare piuttosto che salire sul tetto, se era davvero sicuro di quello che diceva?». Quindi, dopo essersi fatto riferire dei riti di attribuzione delle doti superiori di ‘ndrangheta come la “santa”, ha fatto cadere in contraddizione il teste sul numero di persone che compongono una “copiata” (termine usato, da quanto è emerso nell’udienza, per determinare lo “staff” degli ‘ndranghetisti che conducono questi riti) lasciando intendere che se è vero quello che dice Costa, ovvero che anche in carcere durante l’ora d’aria si curano questi riti, era impossibile raggiungere il “quorum” di ndranghetisti tali da formare una “copiata”, con Costa che ha cercato di spiegare che «Quelli che mancavano per fare una “copiata” venivano sostituiti da un fazzoletto annodato».
A fine udienza, il presidente Sicuro ha fissato le prossime udienze di questo processo che, per come da lui stesso affermato, vorrebbe che si concludesse dopo l’estate.
Il 31 marzo alle 12 avranno luogo l’esame e il controesame del collaboratore di giustizia Domenico Oppedisano, quindi, dopo due mesi di stop, si riprenderà il 5 giugno, con l’esame e il controesame di tutti i testi a discarico (tranne quelli di Cosimo Cherubino), mentre il 19 giugno saranno sentiti tutti i testimoni dell’ex consigliere regionale .