di Antonella Scabellone (foto Enzo Lacopo)
LOCRI- Continuano, senza sosta, le arringhe difensive nel processo Recupero-Bene Comune davanti al tribunale penale di Locri contro 54 presunti affiliati al clan Commisso di Siderno. Oggi a prendere la parola sono stati per primi gli avvocati Sgambellone e Rossano per Giuseppe Napoli per il quale, la pubblica accusa, ha chiesto 18 anni di reclusione contestandogli il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione e intestazione fittizia di beni.
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Tre reati, estremamente gravi, che verrebbero contestati però all’imputato solo sulla base di altrettante intercettazioni, “solo tre-ha specificato l’avvocato Giuseppe Sgambellone- da cui non emerge alcun reato ma solo che Giuseppe Napoli, che fino a qualche anno addietro era titolare di una ditta che installava infissi, e comproprietario del terreno su cui sorge la palazzina di via Misuraca (tanto dibattuta in causa perché ritenuta costruita da una società fittizia, la Ecoambiente, per conto di Franco Rumbo), chiedeva di avere quello che gli spettava per i suoi lavori, non tentando di estorcere denaro a nessuno ne di interporsi come testa di legno in improbabili operazioni fittizie”. A scagionare l’imputato dal reato di estorsione (per la pubblica accusa avrebbe tentato di imporre la vendita dei propri infissi a un imprenditore di Agnana, tale Cherubino Nicodemo)sarebbe stata, a detta della difesa, la stessa presunta vittima che, venuta a testimoniare in causa, avrebbe dichiarato di non aver subito alcuna pressione o intimidazione, non solo da Napoli o da suo zio Antonio Galea, ma da nessun altro. L’accusa però non ritiene credibili queste affermazioni. “Quella richiesta per Giuseppe Napoli è una pena esorbitante-ha detto l’avvocato Rossano- La pubblica accusa ha preso un abbaglio clamoroso! Non c’è un solo collaboratore di giustizia che parli di lui, non c’è prova dell’associazione mafiosa, dell’intestazione fittizia, e tanto più dell’estorsione e del conseguente ingiusto profitto. O forse questo può essere individuato nella vendita di quattro finestre di poco conto?” Date queste premesse, ovvia la conclusione dei difensori nell’ultimo accorato appello alla Corte: “assolvetelo”!
Articolata anche l’arringa dell’avvocato Luigi Errigo per Domenico Giorgini, fratello di Franco, il macellaio ucciso a Siderno tanti anni fa per mano della mafia, per come ha ammesso il pentito Giuseppe Costa che si è dichiarato il mandante di quell’omicidio che all’epoca in cui avvenne destò grande turbamento in città per essere la vittima molto ben voluta e avulsa da ogni contesto criminale.
Per la pubblica accusa Domenico Giorgini, fratello della vittima, e cognato di Antonio Commisso detto l’avvocato, farebbe parte di un contesto criminale più ampio di quello locale con ramificazioni in Canada. All’epoca delle indagini che portarono all’arresto l’imputato era titolare di un ristorante in Canada e di una pescheria a Siderno. E proprio partendo dalle tre intercettazioni che lo incriminerebbero, l’avvocato Errigo ha cercato di dimostrare l’innocenza del suo assistito, in quanto, nello specifico, si parla di conversazioni incentrate solo e unicamente sulla vendita di pesce che però “con un volo pindarico” l’accusa avrebbe interpretato diversamente ravvisando un linguaggio cifrato con altra valenza. “Il pentito Costa che dichiara che Giorgini venne affiliato alla mafia prima dell’omicidio del fratello non è attendibile-ha dichiarato Errigo – perché non da riferimenti precisi, parla dell’imputato sempre de relato, per sentito dire, ma senza effettiva contezza di ciò che dice”. Inoltre, da altre conversazioni intercettate tra Giuseppe Commisso, detto il mastro, e vari interlocutori, risulta che Giorgini non godesse della considerazione del presunto capo mafia di Siderno che lo sbeffeggia a proposito della sua scelta di appoggiare un candidato alle elezioni (tale Domenico Barranca ex assessore comunale). “Vada a coricarsi Giorgini, è un pallone gonfiato” direbbe il mastro riferito all’imputato. Dunque, sulla base degli elementi di causa, delle prove scarne e della genericità degli addebiti di Costa, per Errigo la richiesta per l’imputato non può essere che quella dell’assoluzione per non aver commesso il fatto.
Dopo l’avvocato Armando Gerace, che ha discusso della posizione di Raffaella Migliore e di altri sei imputati accusati del reato di intestazione fittizia di immobili, è stata la volta dell’avvocato Giuseppe Calderazzo, che ha iniziato la lunga arringa difensiva pro Riccardo “Franco” Rumbo per il quale la pubblica accusa ha chiesto anni 24 di reclusione, la pena più alta in assoluto dell’intero processo. Calderazzo ha parlato per circa sei ore (dalle 15.30 alle 21.20), superando per durata anche la difesa di Alessandro Figliomeni (l’arringa dei legali dell’ex sindaco di Siderno, il 13 giugno, durò circa 5 ore) ma poiché non ha finito continuerà il 27 giugno.
Un’accorata disamina della posizione processuale di Rumbo, che, per la pubblica accusa, dopo il processo sulla Siderno Group, e la morte di Salvatore Salerno, avrebbe acquistato un ruolo di vertice nella “società” sidernese, in particolare nella gestione del mercato immobiliare e della droga. Il pentito Giuseppe Costa indica Rumbo come uno dei componenti del gruppo di fuoco che seminò il panico a Siderno ai tempi della guerra di mafia, insieme a Angelo Figliomeni, Riccardo Gattuso e Salvatore Salerno . “Costa ce l’ha con Rumbo – ha sottolineato Calderazzo- e tutte le occasioni sono buone per attribuirgli la responsabilità di qualche reato. E’ stato smentito dalla sua incoerenza e dai fatti raccontati non rispondenti al vero”. Costa, ascoltato dal Pm De Bernardo, attribuisce a Rumbo una serie di omicidi, come quello di suo fratello Giovanni, o il duplice omicidio De Maria/Curciarello, addebiti che, secondo Calderazzo, sono stati smentiti dalle prove acquisite, alcune negative come lo stub, e da circostanze di tempo e di luogo incompatibili con quegli episodi, come il fatto che quando accadevano alcuni fatti Rumbo era detenuto.
Sull’ imputazione relativa all’ associazione finalizzata al traffico di droga Calderazzo ha evidenziato che Rumbo non è stato mai indagato fino ad oggi per questo tipo di reato e che le dichiarazioni di Costa, anche a tal proposito, non fanno testo perchè relative a fatti raccontati da altri, come ad esempio quando il pentito ha dichiarato che era a conoscenza che i Commisso e Rumbo trafficavano droga per averglielo riferito un certo Zavettieri detenuto a Livorno che lo avrebbe appreso a sua volta da altre persone, tra cui da un Antonio Commisso. L’arringa dell’avvocato sidernese è durata oltre le ventuno trattando i capi di imputazione del suo assistito da tutte le angolazioni. Proseguirà il 27 giugno. Intanto il 23 si torna in aula con le altre arringhe difensive