di Antonella Scabellone
LOCRI-ll collaboratore di giustizia Domenico Oppedisano, nella sua lunga deposizione di questa mattina innanzi al Tribunale penale di Locri, collegato in video-conferenza da una località protetta, ha fornito particolari interessanti sull’organizzazione criminale locale, in particolare ha parlato a lungo dei presunti affiliati al clan Commisso di Siderno, molti dei quali ha dichiarato di conoscere personalmente.Si è poi soffermato sugli omicidi di Salvatore ed Agostino Salerno e sull’attentato a Vincenzo Salerno, fratello dei due e genero del “mastro” Giuseppe Commisso.
I meeting di Portosalvo
Oppedisano ha riferito che ogni anno, in prossimità della festa patronale di Portosalvo, che si celebra a Siderno l’otto settembre, i Commisso erano soliti riunirsi per prendere le decisioni più importanti. Alle assemblee, che si svolgevano in noti ristoranti del luogo, e che venivano convocate dal “ mastro”, partecipavano, non solo gli affiliati locali con ruoli di comando, ma anche diversi soggetti che provenivano dal Canada e, a volte, anche qualche membro della famiglia Aquino di Marina di Gioiosa Jonica. Tutte queste notizie il collaboratore di giustizia le avrebbe apprese nell’ambito della famiglia Cordì, a cui comunque era legato da vincoli affettivi, oltre che di sangue, pur dichiarando di non aver mai partecipato alle attività illecite della stessa.
L’Omicidio di Salvatore Salerno e il tentato omicidio del fratello Vincenzo
Una buona parte della deposizione di Domenico Oppedisano è stata dedicata alle vicende legate all’omicidio di Salvatore Salerno, avvenuto a Siderno nell’autunno del 2006. Stando a quanto riferito in aula dal pentito, i rapporti tra lui e Salvatore Salerno erano più che buoni, incentrati sul reciproco rispetto tanto che Salerno, che era un assiduo frequentatore dell gioielleria di Oppedisano, una volta gli prestò addirittura una consistente somma di denaro (circa 20 mila euro) per acquistare un immobile a Siderno sopra il negozio la “Galleria della Scarpa”. Oppedisano ricambiò il favore facendo da tramite tra lo stesso Salerno e il fratello Salvatore Cordì nel momento in cui il primo, temendo per la sua vita, chiese l’intervento dei Cordì di Locri. Tutto sarebbe nato dal tentativo del gruppo degli “scissionisti”, di cui Salvatore Salerno era il leader, di uccidere il figlio di Antonio Figliomeni detto il “topo”, ritenuto elemento di peso del clan Commisso di Siderno.
“Guido Brusaferri e Salvatore Dieni – ha detto Oppedisano riferendosi a due presunti affiliati ai Cordì – dissero che il gruppo di Salvatore Salerno, se non ricordo male i fratelli Zimbalatti, avevano cercato di sparare al figlio del “topo”. Da qui, a detta del pentito, sarebbe maturata la terribile vendetta dei Commisso verso Salvatore Salerno che sarebbe stato ucciso poco tempo dopo. Ma degli “scissionisti” faceva parte anche il genero del “mastro”, Vincenzo Salerno, fratello di Agostino e Salvatore, che si decise di eliminare in un secondo momento, al termine di un meeting tra i capi locali. “Ci fu una riunione – ha detto Oppedisano – a cui parteciparono, tra gli altri, Franco Rumbo, Cosimo Figliomeni (il “brigante” cognato di Salvatore Salerno) e Giuseppe Commisso il “ il mastro” , in cui si disse che era giusto ammazzare anche il genero del mastro, visto che era stato ucciso il cognato del brigante”. Giuseppe Commisso, a detta di Oppedisano, autorizzò l’omicidio del genero Vincenzo Salerno “purchè ciò non avvenisse in presenza della figlia”. Vincenzo Salerno però sfuggì per ben due volte ai killer, ed oggi è al “sicuro” detenuto-imputato nel processo “Recupero-Bene comune” dove è difeso dall’avvocato Letterio Rositano.
L’eliminazione di Agostino Salerno, invece, nel novembre 2006, venne decisa, sempre a detta di Oppedisano, in quanto questi si era permesso di chiedere spiegazioni dell’omicidio del fratello Salvatore.
Finito l’esame del testimone di giustizia da parte del Pm De Bernardo, è seguito il controesame dei difensori degli imputati che hanno contestato in gran parte le testimonianze indirette riportate dall’Oppedisano sollevando a tal proposito varie eccezioni sulla reale conoscenza da parte dello stesso dei fatti narrati.
A conclusione dell’udienza, dal carcere di Spoleto, Antonio Figliomeni, alias il “topo”, ha chiesto di rilasciare dichiarazioni spontanee. “Non ho mai visto Oppedisano in vita mia – ha detto – i miei figli non hanno mai subito attentati e io personalmente non ho mai partecipato alle riunioni che lui dice. Nella mia vita ho sempre e solo lavorato”.