di Gianluca Albanese (ph. Enzo Lacopo)
LOCRI – De Bernardo: «Buongiorno ingegnere»; Figliomeni: «Buongiorno dottore; ci rivediamo…». Sembra l’incipit di una rappresentazione teatrale; o, se preferite, di un legal thriller. In realtà sono i primi quattro secondi di quasi quatto ore di esame dell’ex sindaco di Siderno Alessandro Figliomeni, nella seduta odierna del processo “Recupero”, che vede alla sbarra decine di imputati, accusati a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso, che si è conclusa intorno alle 20 al tribunale di Locri.
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Che non si trattasse dell’esame di un imputato “comune” era noto da tempo. Già, perché tre anni esatti di custodia cautelare non hanno minimamente scalfito l’arte oratoria di un politico navigato, che nel congedarsi dal collegio presieduto dal giudice Alfredo Sicuro si è scusato per essersi dilungato, spesso, nel rispondere alle domande del pubblico ministero «Ma sa – ha detto Figliomeni – erano tre anni che non mi trovavo davanti a un microfono».
L’attesissimo esame è iniziato alle 15 in punto. Dopo la formula di rito pronunciata dal presidente Sicuro, Figliomeni ha premesso che «Sono qui per rispondere e contribuire a chiarire la mia posizione», espressione tipica di chi non vedeva l’ora di sottoporsi all’interrogatorio.
E nella prima parte, l’ex sindaco di Siderno dal 2001 al 2010 si è mostrato piuttosto sicuro di sé, tanto da osare considerazioni di disistima che hanno rasentato il disprezzo nei confronti del boss Giuseppe Commisso detto “il mastro”, quando ha detto che «Tra me e lui c’era una grande differenza determinata da parametri socio-culturali inconciliabili: io sono laureato e lui avrà la quinta elementare» e di suoi ex colleghi di coalizione amministrativa come l’ex presidente del consiglio comunale Antonio Macrì, tra i principali artefici delle dimissioni di massa del febbraio 2010 che determinarono la caduta dell’amministrazione: «Si è dimesso da sé stesso e non è vero che lui e gli altri mi sfiduciarono, perché non vennero mai in Consiglio a esprimere il loro dissenso, preferendo dimettersi con delle lettere protocollate in municipio».
Dopo aver ripercorso i passaggi fondamentali della sua vita e della sua attività politica, Figliomeni, nel rispondere alle domande del pubblico ministero sui rapporti di conoscenza con gli altri coimputati, ha ammesso di conoscere tutti «perché – ha detto – sono stato sindaco di Siderno per nove anni ed era logico che conoscessi tutti», ha rimarcato le differenze nei rapporti con gli stessi.
«Conoscevo Giuseppe Commisso – ha dichiarato in aula – perché era cognato di mio fratello Giovanni scomparso due anni fa, ma non abbiamo mai avuto grandi rapporti e non ci frequentavamo. Solo una volta – ha proseguito – m’invitò quando uccise il maiale perché teneva che alla “maialata” tra parenti e amici ci fosse anche il sindaco di Siderno, ma io non ci andai».
Diversa la valutazione dei rapporti con l’altro boss, l’anziano patriarca Antonio Commisso classe ’25 «Che conoscevo – ha detto – da quando era consigliere comunale del Psi, partito nel quale militai da ragazzo. Con lui i rapporti erano improntati alla stima reciproca e lui è una persona molto generosa che faceva doni a tutti: primari ospedalieri, direttori di banca, ecc. Spesso lo incontravo in occasioni conviviali, come quella volta a un ristorante di Mammola in cui nel tavolo accanto al nostro cenavano alcuni Carabinieri che ci offrirono anche una bottiglia di vino».
E i rapporti umani con gli altri coimputati erano abbastanza acclarati. Molti sono originari della sua contrada (Lamia), altri li conosceva superficialmente; con altri ancora intercorrono rapporti di parentela e affinità. «Ma sicuramente – ha detto Figliomeni – la mia non è una famiglia mafiosa. Io, al momento dell’arresto possedevo solo la casa dove abitavo (un appartamento è intestato a mia figlia Jole) e la mia automobile. Ho quattro figli, di cui tre laureati e due sono all’estero in cerca di lavoro perché “grazie” alla mia attività politica sono disoccupati».
L’ex sindaco ha detto di conoscere le articolazioni della ‘ndrangheta sul territorio «Solo grazie alla lettura di libri e articoli di giornale: so che a Siderno ci fu la faida tra i Commisso e i Costa, a Locri tra i Cataldo e i Cordì, a Marina di Gioiosa tra i Mazzaferro e gli Aquino, ma solo da quello».
Ha parlato dei viaggi in Australia dall’ex sindaco di Stearling Anthony Vallelonga «Lo conobbi in occasione dei festeggiamenti dei cent’anni di una nostra concittadina che aveva dei nipoti nel suo paese australiano e c’invitò lì» e in Canada «La prima volta ci andai come viaggio premio dopo aver conseguito il diploma: per noi ragazzi di paese il Canada era un mito e poi ci tornai spesso da sindaco quando i quasi ottomila sidernesi residenti lì m’invitarono in occasione della festa patronale per Maria Ss. di Portosalvo, che festeggiano in contemporanea con Siderno. Ero spesso ospite in radio e Tv e anche al Columbus Center».
Fin qui tutto liscio. Qualche imbarazzo, invece, è emerso da parte dell’imputato a seguito delle successive domande, quasi tutte incentrate sui dialoghi captati alla lavanderia “Ape Green” del centro commerciale “I Portici” e che vedono protagonista – manco a dirlo – il boss Giuseppe Commisso detto “Il mastro”, uno che negli ultimi tempi sembrava non nutrire soverchi sentimenti di stima nei confronti dell’ex sindaco.
«In particolare – ha detto Sandro Figliomeni – so che era piuttosto risentito per il fidanzamento di mia figlia Jole con un suo ex congiunto – trattasi dell’ex cognato del “mastro” Giuseppe Crupi – ma nemmeno io facevo salti di gioia per questo perché accanto a mia figlia avevo immaginato un’altra figura. Per fortuna – ha proseguito – la loro storia è finita e la vicenda può considerarsi superata».
Ma al di là del “gossip” risultante dal dibattimento, Figliomeni ha insistito molto sul senso della sua esperienza amministrativa.
Nel rispondere a De Bernardo, ha detto che «Non mi candidai alla “poltrona” di sindaco, ma alla “responsabilità” di primo cittadino, perché, signor giudice – dice guardando Sicuro – bisogna essere dei temerari per farlo». E poi, sul presunto appoggio elettorale da parte degli altri imputati, Figliomeni ha detto che «I miei coimputati di politica non ne masticano. Sono sempre stato eletto al primo turno, prendendo più del 50% dei voti e magari può darsi che mi abbiano votato anche dei mafiosi, così come tanti cittadini per bene, visto che ho preso tanti consensi». Quindi, a domanda precisa, ha risposto che «Ho sentito parlare della “società” di Siderno, ma solo dai giornali, dai libri… e dagli interrogatori dei PM . Sapevo dei precedenti penali di Giuseppe Commisso ma anche delle sentenze di assoluzione, ma non credo che bastasse chiamarsi Commisso per essere per forza intranei alla ‘ndrangheta. Basti pensare – ha aggiunto – che sull’elenco telefonico, delle 18 pagine degli abbonati di Siderno, tre erano occupate da famiglie che portano questo cognome».
Quindi, l’ex sindaco, per dimostrare la sua estraneità al sodalizio criminale ha detto che «L’unico giuramento che mi ha impegnato, che m’impegna e che m’impegnerà, indipendentemente dall’esito di questo processo è quello di fedeltà alla Costituzione Italiana che feci quando fui eletto sindaco».
Ancora sulle intercettazioni e sulla disputa riguardante la contestata divisione tra la famiglia Commisso in occasione delle elezioni regionali del 2010: «So che il “mastro”, del quale fui qualche volta cliente della sua sartoria e della lavanderia, esprimeva considerazioni negative sul mio conto, e probabilmente Giuseppe Catalano, che conoscevo da quando ero studente a Torino, provò a mediare, a farlo ragionare».
In un’altra intercettazione captata nella lavanderia “Ape Green”, Giuseppe Commisso parla con Antonio Futia (condannato in primo grado nel processo “Crimine”) di «160.000 euro che si è “fottuto” Sandro, uno che è difficile che non acchiappi soldi» e Figliomeni ha detto di non aver mai avuto «rapporti d’affari con Giuseppe Commisso e i suoi sodali. Io facevo solo il sindaco di Siderno e come tale avevo solo compiti d’indirizzo politico, perché gli aspetti gestionali è noto che spettano alla parte burocratica dell’Ente». E poi «Conobbi Francesco Meleca – altro imputato – quando ero sindaco perché faceva dei lavori di pulitura delle erbacce e sotto la mia amministrazione decidemmo di bonificare molte aree periferiche che le precedenti amministrazioni non fecero. Lui – ha detto, parlando di Meleca – era una persona molto chiusa e di scarsa scolarizzazione, tanto che non sapeva nemmeno fare una fattura e aveva grosse difficoltà a farsi pagare i lavori che eseguiva» e sul “mastro”: «Secondo me s’inventava delle cose nei suoi dialoghi perché ce l’aveva con me, specie – questo lo ha chiarito in sede di controesame – dopo che la mia amministrazione si costituì parte civile contro gli imputati di un processo per coltivazione di sostanze stupefacenti con allaccio abusivo alla rete idrica comunale, tra i quali c’era anche un suo presunto fedelissimo come Michele Correale detto “zorro”».
LA VICENDA DEL SUPERMERCATO EUROSPIN DI MARINA DI GIOIOSA IONICA
E’ uno dei passaggi più significativi dell’interrogatorio, che trae origine sempre dalle intercettazioni captate all’Ape Green. Incalzato dalle domande del PM De Bernardo, abile a individuare incongruenze tra l’esame odierno e l’interrogatorio di garanzia reso davanti al pubblico ministero il 17 maggio del 2011, la sicurezza di Figliomeni a tratti vacilla tanto che nei momenti di pausa cerca con lo sguardo la moglie, in prima fila tra il pubblico, e i suoi avvocati difensori Nobile e Mazzone, seduti al penultimo banco.
Dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere emerge come Figliomeni sia andato a trovare il “mastro” in lavanderia per perorare la causa dell’imprenditore commerciale di Siderno Antonio Albanese, che voleva realizzare un supermercato affiliato alla catena “Eurospin” nel territorio di Marina di Gioiosa Ionica «Anche se – ha detto – col senno di poi mi pento di essere stato sempre troppo disponibile sia con lui che con gli altri, e se avessi saputo che all’epoca dei fatti – siamo già nel 2010 – Giuseppe Commisso parlava male di me, non sarei mai andato da lui. Aggiungo pure che se fossi stato ancora sindaco avrei mai accettato di andare a trovarlo per perorare la causa altrui, nonostante la mia nota generosità».
Non manca un’esposizione dettagliata e puntuale dei fatti dell’epoca. «Sapevo – ha spiegato Figliomeni – che un imprenditore come Antonio Albanese voleva creare un supermercato a Marina di Gioiosa e per me è un fatto molto positivo, perché avrebbe creato sviluppo e lavoro. Tra l’altro, in quei giorni, il Rotary club organizzò un convegno a Siderno per parlare delle prospettive di sviluppo derivanti dalla realizzazione della nuova strada statale 106, al quale parteciparono sia il progettista del supermercato che voleva realizzare Albanese, l’ingegnere Edmondo Crupi, che il funzionario Anas ingegnere Laganà. Il supermercato – ha proseguito – doveva sorgere nei pressi dello svincolo della nuova statale 106, e Albanese mi chiese di intercedere presso l’ingegnere Laganà al fine di fare una modifica del tracciato tale da consentire la costruzione del supermercato senza stravolgere il senso della grande arteria in costruzione. Lo chiamai davanti al collega Crupi che venne a trovarmi in Comune e si mostrò molto disponibile a favorire il nuovo insediamento produttivo. Poi però serviva una variante al piano regolatore di Marina di Gioiosa, che avrebbe dovuto essere votata dal consiglio comunale, e Albanese mi chiese d’intercedere presso l’allora sindaco Rocco Femia, che si mostrò disponibile, purché vi fosse l’assenso del progettista del redigendo Piano Strutturale Comunale Imbesi, che non pose ostacoli all’opera. Nel frattempo – ha detto ancora Figliomeni – Albanese entrò in affari con la famiglia Aquino, sia per la realizzazione dell’opera con le loro imprese che nella costituenda società. Intanto, passavano i mesi senza che la variante al PRG fosse votata dal consiglio comunale di Marina di Gioiosa, e Albanese quasi ogni sera veniva a trovarmi quasi in lacrime a casa, perché i ritardi nell’approvazione della variante gli stavano creando problemi con Eurospin, tanto che, nonostante la mia intercessione con l’allora sindaco Femia, Albanese, quasi disperato, mi chiese di andare a trovare insieme il “mastro” per sfruttare le sue conoscenze per velocizzare l’iter di votazione della variante al PRG in Consiglio».
Qui, il pubblico ministero gli ha ricordato i suoi giudizi negativi espressi in precedenza sul “mastro” e gli ha chiesto delle sue conoscenze con la famiglia Aquino. «Per me – ha detto Figliomeni – erano solo una famiglia autorevole di Marina di Gioiosa e il loro esponente Rocco lo conoscevo come presidente della locale squadra di calcio, visto che quasi ogni lunedì, in questa veste, era ospite dei programmi di approfondimento sportivo nelle Tv locali».
Come prevedibile, la definizione di “autorevole” riferita alla famiglia Aquino ha suscitato le ulteriori domande del PM che ha chiesto a Figliomeni il suo concetto di autorevolezza, con quest’ultimo che ha risposto che «So che si tratta di una famiglia di imprenditori molto conosciuta in città e all’epoca nessuno di loro era sotto processo».
Fatto sta che nonostante il passare dei mesi, la variante del PRG non viene votata, tanto da indurre Figliomeni a dichiarare in aula che «Secondo me, i Mazzaferro, altra famiglia autorevole di Marina di Gioiosa che non era in buoni rapporti con gli Aquino, era intervenuta presso propri referenti in Consiglio per non far votare la variante al PRG, anche se io non parlai mai a Femia dei rapporti tra gli Aquino e i Mazzaferro».
Ancora sui rapporti con altri imputati di importanti processi di ‘ndrangheta.
A proposito di Nicola Romano, presunto boss alla sbarra nel processo “Saggezza”, Figliomeni ha detto che «Lo conosco dal 1980 quando l’impresa di mio padre realizzò dei lavori sulla strada provinciale per Antonimina e lui gestiva una macelleria di cui mio padre era cliente»; Muià Francesco «Aveva una rivendita di materiali edili ma il suo agire era ispirato da un modo molto singolare di vedere le cose, improntato all’approssimazione, tanto che ci causò molti problemi di natura professionale quando era cliente del nostro studio professionale». E poi «Prima del processo non avevo mai sentito nominare Domenico Gangemi».
LA MANCATA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE AL PROCESSO PER L’OMICIDIO DI GIANLUCA CONGIUSTA
I fatti sono noti. Di nuovo Figliomeni ha aggiunto che «Dopo aver ricevuto la lettera dell’associazione presieduta dal padre della vittima, che invitò tutti i consiglieri comunali a fare in modo che il Comune si costituisse parte civile al processo, convocai una riunione di maggioranza per prendere una decisione e tutti, in quella occasione, si dissero molto perplessi, perché nella storia del Comune di Siderno – i fatti risalgono al dicembre 2007 – lo statuto comunale non lo prevedeva e, tra l’altro, il collegio difensivo dell’Ente disse che se davvero era opera della cosca Costa, questa aveva interessi anche nel territorio di Soverato, quindi non c’era la lesione diretta dell’immagine del Comune di Siderno. Poi – ha aggiunto – ci fu anche un certo imbarazzo perché dopo l’omicidio di un giovane comunque molto stimato e alla cui memoria (e in omaggio a tutte le vittime di mafia) la mia amministrazione decise di erigere un monumento nel posto in cui avvenne il barbaro omicidio, circolavano delle voci in città secondo le quali si sarebbe trattato, in realtà, di un omicidio a sfondo passionale».
Stimolato dall’avvocato di parte civile del Comune di Siderno Antonio Cutugno, che nel salutarlo si è lasciato scappare un «Buonasera sindaco», Figliomeni ha ricordato quando «La mia amministrazione denunciò penalmente per truffa la società AIP alla quale affidammo in precedenza la riscossione dei tributi comunali perché scoprimmo che non versava all’Ente tutte le somme riscosse», sollevando di fatto, da ogni responsabilità, l’allora responsabile dell’ufficio legale del Comune Antonella Vizzari, alla quale Cutugno, nella sua domanda, sembra voler imputare la responsabilità del mancato rinnovo della fidejussione «Perchè – ha detto Figliomeni – il rinnovo competeva agli apparati burocratici e non al pool dei legali».
Durante il controesame, Figliomeni ha ricordato alcuni risultati ottenuti sotto la sua amministrazione: «ll titolo di città, la bandiera blu della Fee, il titolo di città più sicura d’Italia tra le località turistiche, la videosorveglianza coi fondi del Pon sicurezza e nel 2008 il riconoscimento da parte del Mnistero dell’Economia che, poiché rispettammo il patto di stabilità, ci permise uno sforamento parziale per 80.000 euro, dei parametri imposti dall’UE».
GLI ALTRI IMPUTATI
Quasi tutti gli altri si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, tranne Vincenzo Salerno, fratello di Agostino e Salvatore, assassinati nel 2006, nonché genero del “mastro”, che si è detto “incredulo” dopo l’assassinio dei fratelli e ha dichiarato di non aver parlato col suocero di tutto ciò, dicendo altresì di aver conosciuto i presunti sodali dei Costa solo in carcere.
Prima ancora, erano stati auditi alcuni periti e consulenti, oltre a quattro testimoni. Tutti appartenenti al commissariato di Polizia negli anni precedenti, e che nell’acquistare o realizzare lavori di ristrutturazione delle loro abitazioni sidernesi, erano stati clienti di Euroceramiche e dell’imputato Massimo Pellegrino.
L’udienza è stata aggiornata al prossimo 14 gennaio alle 15,30.