di Antonella Scabellone
LOCRI – Non ha ricevuto incarichi, né ricoperto ruoli di alcun tipo all’interno della consorteria mafiosa che fa capo alla sua famiglia, quella dei Cordì di Locri.Non era organico alla ndrangheta Domenico Oppedisano, avendo deciso di rimanerne fuori. Eppure questo non gli è servito a riscattarsi dalla pesante eredità delle proprie origini.
Oggi vive in una località protetta, perché ha deciso di collaborare con la giustizia. Ha spiegato alla Corte che la sua è stata una decisione sofferta, maturata dopo un lungo travaglio interiore iniziato nel momento in cui la sua famiglia gli chiese di testimoniare il falso in favore dei presunti assassini di suo fratello Salvatore, soprannominato “u cinesi”, freddato a Siderno nell’estate del 2005. Ha riferito che fu Antonio Cordì, figlio di Cosimo, a chiedergli di testimoniare in favore di Michele Curciarello, attualmente detenuto perché condannato all’ergastolo in primo grado in quanto ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio Cordì. All’altro condannato per il delitto del “Cinese”, il presunto mandante, Antonio Cataldo,è andata meglio: proprio oggi, mentre finiva di deporre il teste Oppedisano, la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha annullato la pena di trent’anni di reclusione inflittagli precedentemente.
Il collaboratore di giustizia comparso stamattina davanti al Tribunale di Locri è fratellastro di Salvatore Cordì, in quanto figlio della stessa madre ma di padre diverso (Oppedisano non è stato mai riconosciuto dal padre naturale, un membro della famiglia Cataldo). In oltre quattro ore di interrogatorio, rispondendo alle domande del Pm De Bernardo, il pentito ha ricostruito il quadro criminale locale, che ha dato l’impressione di conoscere abbastanza bene, soffermandosi in particolare sugli ottimi rapporti che intercorrevano tra la famiglia dei Commisso di Siderno e quella dei Cordì di Locri. Una ricostruzione dei fatti passata spesso attraverso le testimonianza indirette (“in famiglia se ne parlava” ha detto più volte riferendo di come apprendeva le notizie), supportata dalla visione di un album fotografico autorizzata dal Tribunale (nonostante l’opposizione degli avvocati Calderazzo, Rositano e Menotti Ferrari), per permettere al pentito di individuare meglio le persone di cui riferiva. E proprio sfogliando l’album fotografico Oppedisano ha fornito via via informazioni precise sui vari soggetti sottoposti alla sua attenzione (anche se sull’identità di alcuni ha avuto dei dubbi) ritenuti appartenenti al clan Commisso di Siderno. “Mio fratello Salvatore era molto amico del “topo”, il fratello del sindaco di Siderno-ha detto riferendosi ad Antonio Figliomeni attualmente detenuto nel carcere di Spoleto-. C’era poi Giuseppe Commisso detto “U Mastro”, che ha una lavanderia ed ha un ruolo importantissimo nell’organizzazione, è uno che comanda; Antonio Commisso è un altro molto rispettato e importante, uno dei capi;poi, tra quelli che contano, ci sono Franco Rumbo; i fratelli Figliomeni, Cosimo e Angelo, detti “i Briganti”; Antonio Galea, anche lui rispettato ed organico,e poi Michele Correale, detto “Zorro”, che aveva un ruolo importante ma non rammento di preciso quale. Ricordo anche Riccardo Gattuso, considerato dai Cordì un ragazzo in gamba, nipote di Franco Rumbo. E poi ancora, Giorgini, cognato di Antonio Commisso detto l’ “Avvocato”, anche lui faceva parte dell’organizzazione. Riguardo ad Antonio Futia ricordo che veniva spesso da noi a Locri trovare i fratelli Dieni, questo almeno fino al 2009”. Infine, il pentito, di fronte alla fotografia di Domenico Lubieri, ha affermato sorpreso “questa è una persona perbene, non mi risulti appartenga all’associazione, era segretario del senatore Fuda”.