Per l’Istituto l’anno passato circa 1 milione di famiglie hanno avuto una diminuzione od un annullamento del Reddito o della Pensione di Cittadinanza rispetto al 2022, in particolare nel 2023 i nuclei beneficiari delle due misure sono poco più di un milione, il 20% in meno rispetto al 2022. Decisamente maggiore è stato l’impatto dell’Assegno unico e universale per i figli a carico fino a 21 anni incassato dal 92,3% delle famiglie, per un importo medio di 2.947 euro – circa 245 euro mensili.
di Antonio Baldari
Il rischio di povertà per le famiglie italiane è diminuito di 1,2 punti, dal 20 per cento al 18,8 per cento. È questo il risultato essenziale che emerge dal rapporto Istat sulla redistribuzione del reddito in Italia, generata dalle politiche adottate nel 2023 e quindi dall’attuale Governo centrale romano, leggermente diminuendo le disuguaglianze che sono passate, considerando l’indice di Gini, dal 31,9% al 31,7%, in calo di 0,2 punti percentuali: il merito è da ascriversi all’Assegno unico e universale ed al taglio del cuneo contributivo a vantaggio dei dipendenti, nessun beneficio, invece, sui due indicatori dalle modifiche al Reddito di cittadinanza (Rdc) introdotte dal governo Meloni, che ha prodotto per circa 1 milione di famiglie una diminuzione o l’annullamento del sussidio rispetto al 2022.
Analizzando il Reddito di cittadinanza, la platea che era considerata “occupabile” lo scorso anno durava 7 mesi, in previsione della cancellazione operativa nell’anno in corso; per l’Istat l’anno passato circa 1 milione di famiglie hanno avuto una diminuzione od un annullamento del Reddito o della Pensione di Cittadinanza rispetto al 2022, in particolare nel 2023 i nuclei beneficiari delle due misure sono poco più di un milione, il 20% in meno rispetto al 2022.
Anzitutto, la riduzione della platea è dovuta alle famiglie che, vedendo migliorare le proprie condizioni economiche, senza una contestuale rivalutazione dei requisiti Isee per accedere al beneficio, non possiedono più i requisiti reddituali per accedere al sussidio; altra motivazione inerisce il calo nell’adesione alla prestazione legato probabilmente all’imminente cessazione della misura che è diventata meno appetibile nel 2023; si è altresì registrata una diminuzione nei mesi di fruizione per i nuclei familiari con membri occupabili allo scadere del settimo mese di fruizione.
In ultima analisi la perdita in media ammonta a 1.663 euro, pari a circa 138 euro mensili, e riguarda quasi esclusivamente le famiglie che si collocano nel quinto più povero della distribuzione dei redditi, da notare, peraltro, che il Rdc non è un sussidio rivalutabile annualmente in base all’inflazione, ma ha un importo fisso; l’impatto delle modifiche al Rdc è valutato in un incremento di 0,2 punti percentuali dell’Indice di Gini, dunque ha avuto un impatto sulla crescita delle disuguaglianze, mentre è neutro l’impatto sulla riduzione della povertà.
A questo proposito va ricordato che dal 1° settembre 2023, i percettori del Rdc che perdevano il diritto al sussidio potevano fare richiesta del Supporto per la formazione e il lavoro, misura rivolta a individui tra 18 e 59 anni senza carichi di cura e con Isee inferiore a 6mila euro; nel predetto studio l’Istat stima che le famiglie con almeno un richiedente siano circa 100mila, tutte appartenenti al quinto più povero, che beneficerebbero, in media, di 750 euro: si tratta di un dato sovrastimato, considerando che a fine gennaio 70mila domande sono state accolte dall’Inps e solo 27mila hanno avuto l’indennità pagata, ricevendo 350 euro di importo mensile.
Decisamente maggiore è stato l’impatto, sia in termini di diminuzione della povertà che delle disuguaglianze, dell’Assegno unico e universale per i figli a carico fino a 21 anni incassato dal 92,3% delle famiglie, per un importo medio di 2.947 euro – circa 245 euro mensili – nel 2023 sono intervenute alcune modifiche come l’aggiornamento automatico al costo della vita di soglie e importi, e l’Assegno è aumentato in media di 719 euro annui, circa 60 euro mensili.