di Gianluca Albanese
RIACE – Un’altra gioventù è possibile. E’ quella dei ragazzi del campo di lavoro della Rete dei Comuni Solidali che ieri sera a Riace hanno concluso la loro specialissima vacanza, un’esperienza comunitaria in senso stretto, durante la quale hanno vissuto insieme, dormito, mangiato e lavorato insieme.
Già, lavorato. Hanno rimesso a nuovo l’anfiteatro cittadino, e hanno preso parte a reading, momenti di approfondimento culturale, vivendo a tutto tondo la realtà quotidiana di un borgo che da parecchi anni è un simbolo in tutta Italia. Simbolo d’integrazione, certo, di diversità culturali vissute come una risorsa e non come un problema, e di vita vissuta ponendo al centro i rapporti sociali; un’accoglienza che non è solo uno slogan ma qualcosa che si manifesta sia nei confronti degli immigrati (30 nuovi ne sono arrivati ieri, ma da queste parti è routine) che dei visitatori. Erano curiosi di vedere il “paese dei ciucci”, non la metafora cantata da Peppe Voltarelli, ma il paese degli asini in senso stretto, quelli che ogni mattina raccolgono i rifiuti – rigorosamente differenziati – lasciando le strade pulite, senza costi per il Comune e a impatto ambientale pari a zero. E allora, ieri sera per il gran finale del campo Re.Co.Sol. c’erano tutti: il sindaco Mimmo Lucano, i ragazzi del campo, le loro guide Giovanni Maiolo e Giuseppe Trimarchi, molti cittadini di Riace e un artista che ha avviato, qualche anno fa, un filo rosso tra Riace e Carmagnola, comune della cosiddetta “cintura” torinese, facendo conoscere la realtà del “paese dei ciucci” in Piemonte, grazie alla proiezione del film girato qui da Wim Wenders ma soprattutto ospitando Lucano nelle scuole e nei circoli per far capire a chi vive lontano migliaia di chilometri cosa significa l’esperienza di accoglienza e integrazione di Riace. L’artista si chiama Nino Vitale, leader del circolo Arci di Carmagnola e vero “guru” dei ragazzi della Re.Co.Sol.. L’anno scorso venne e si congedò realizzando i murales dedicati a Peppino Impastato di fronte all’anfiteatro. Quest’anno, dall’altra parte della strada, ha scolpito e dipinto la “Statua della speranza”, un’opera in legno con i simboli e tutti i colori della speranza e dell’accoglienza: una donna africana incinta con il tradizionale copricapo multicolore. Questa la cerimonia di inaugurazione, con la statua che è stata scoperta dai genitori del sindaco Lucano, un gesto di speranza che si passa di generazione in generazione.
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E se la cerimonia di inaugurazione ha costituito l’evento clou della serata e il coronamento di una settimana di lavoro, non possiamo non evidenziare tutto quello che abbiamo colto nella serata trascorsa a Riace, la sua dimensione comunitaria, i suoi ritmi, orari e costumi completamente diversi da quelli della stragrande maggioranza dei paesi locridei. All’ora di cena, tutti a tavola per una spaghettata collettiva, poi i ragazzi raccontano la Riace che avevano in mente prima di partire e che hanno conosciuto. Evidenziano gli aspetti legati all’accoglienza dei migranti e alla loro effettiva integrazione, sono amici di molti di loro. Ma parlano anche di un paese in cui gli spazi pubblici sono vissuti appieno, dove ci si dà una mano un po’ tutti e si rispetta l’ambiente. Discorsi molto maturi se si tiene conto della loro giovanissima età. La piazza è piena di gente in cerca di relax e refrigerio dopo aver sofferto l’afa della giornata.
Il bar, coi suoi tavolini all’aperto, diventa una discoteca improvvisata, laddove una giovane del campo di lavoro prende lezioni di tarantella da uno straordinario ballerino 87enne pieno di energie e col ritmo nel sangue. Una sorta di Compay Segundo locale. Una troupe televisiva francese riprende tutto, mentre gli asini (madre e figlio) arrivano in piazza per prendersi la loro fetta di popolarità. I bambini del posto li accarezzano e loro fanno i divi per qualche minuto. Nei tavoli del bar si discute, si chiacchiera del futuro di certe esperienze, di questo laboratorio politico che va fatto conoscere e di come quello che altrove sembra impossibile, da queste parti è ordinario, è vita quotidiana. E se la piazza brulica di persone con la sua atmosfera festosa e chiassosa, qualche decina di metri più in giù un gruppo di musulmani prega nel silenzio più assoluto sotto la luce di un lampione in una piazza ampia e buia.
Sono rivolti verso la Mecca. Al visitatore viene fatto notare qualche scorcio mozzafiato della parte bassa del paese. Atmosfere da film, mentre risalendo i ripidi tornanti ci si accorge che questo che qualche anno fa era uno dei tanti borghi collinari in via di spopolamento, ora è un paese vivo, vivissimo, grazie ai suoi immigrati. I ragazzi, intorno alla mezzanotte, sono in piazza a ballare; i loro coetanei della costa staranno per uscire, fino alle due faranno la fila fuori dai locali invidiando quelli che hanno il tavolo nel privè. Ma questa è un’altra storia. Noi, preferiamo raccontare quella dell’altra gioventù possibile. Quella del campo Re.Co.Sol. di Riace.