di Patrizia Massara Di Nallo (foto fonte Wikipedia)
Secondo un proverbio latino:“ La storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita, nunzia dell’antichità”. Di seguito, quindi, ricordiamo in breve le nostre illustri origini storiche, perchè la memoria collettiva non può essere defraudata della storia a cui molti popoli del passato hanno attinto culturalmente e che spesso abbiamo sintetizzato solennizzando che da noi un tempo fiorivano e prosperavano le scuole di filosofia (composto di φιλεῖν (phileîn) amare e σοφία (sophía) sapienza quindi “amore per la sapienza”), quando altrove, nello stesso periodo,non si aveva contezza nè della scuola nè tantomeno della saggezza o conoscenza quale studio del pensiero umano. Il nostro territorio ha una storia unica nel panorama italiano perché conserva le tracce di insediamenti già in epoca preistorica e anche innumerevoli testimonianze delle più antiche culture classiche, sia greca che romana. Infatti nella terra di Calabria, da più di tremila anni, è custodita una cultura che purtroppo, lentamente, sta andando in parte perduta, soprattutto per il ritmo incalzante del cambio generazionale. Questo tesoro di inestimabile valore è concentrato in uno dei pochissimi territori in cui abitano i discendenti diretti dei Greci che colonizzarono l’estremo sud della penisola italiana, costituendo il fulcro del territorio successivamente ribattezzato Magna Grecia dai conquistatori romani. I Greci portarono le proprie tradizioni culturali (fra cui quella culinaria), le proprie credenze, le arti, l’artigianato, la lingua e soprattutto la coltivazione del bergamotto, che, secondo una leggenda, si potrebbe identificare con la mela d’oro che il mitico Paride donò alla dea Afrodite. Quello greco rappresenta per la Calabria il periodo di massimo splendore con la fondazione, a partire dall’VIII secolo a.C., di numerose città che saranno per secoli fra le più ricche e culturalmente avanzate del tempo. I primi coloni greci stanziatesi nel nostro territorio incontrarono le preesistenti popolazioni degli Enotri. Infatti Dionigi di Alicarnasso scrive:«Gli Arcadi, primi tra gli Elleni, attraversato l’Adriatico, si stanziarono in Italia, condotti da Enotro, figlio di Licaone, nato 17 generazioni prima della guerra di Troia…, giunse all’altro mare, quello che bagna le regioni occidentali d’Italia. Questo si chiamava Ausone dagli Ausoni che abitavano le sue rive;… e fondò sulle alture piccoli centri abitati vicini gli uni agli altri, secondo la forma di insediamento consueta tra gli antichi. E la regione occupata, che era vasta, fu chiamata Enotria ed Enotrie tutte le genti su cui regnò ».Da questi ed altri frammenti si deduce che gli Ausoni erano in Calabria già intorno al XVI secolo a.C. e che ad essi subentrarono gli Enotri intorno al X secolo a.C. I colonizzatori, in seguito, per difendersi dalle incursioni saracene, si stanziarono nell’entroterra fondando sub-colonie, cioè i primi nuclei abitativi antenati di città tutt’ora esistenti, quali Bova, cuore dell’area grecanica, Condofuri, Roghudi, Roccaforte del Greco, Gallicianò, Pentedattilo, Bruzzano Zefirio, Bagaladi e Chorìo. L’insieme di questi comuni costituisce la Bovesìa, i cui luoghi interni, impervi e a rischio idrogeologico, sono stati soggetti all’isolamento e al progressivo spopolamento. Al contempo questa stessa sfavorevole condizione ha favorito l’intatta conservazione delle evidenti tracce della cultura magnogreca e bizantina. Infatti di enorme interesse storico ed artistico sono i siti archeologici che risalgono alla prima colonizzazione da parte dei Greci (VIII secolo a.C.), tra cui ricordiamo le rovine di Locri Epizephiri, di Centocamere, il santuario di Persefone sul colle della Mannella e le mura greche dell’antica Rhegìon, l’attuale Reggio Calabria. Quest’ultimi resti delle mura, tra le poche sopravvissute fino ai giorni nostri, testimoniano la vastità dell’antica polis di Rhegion. Di esse ne esiste un tratto, il solo peraltro visitabile, tra il lungomare Falcomatà e il corso Vittorio Emanuele, che è costituito da due file parallele di grossi blocchi di arenaria tenera risalenti al IV secolo a.C. e che farebbero parte della ricostruzione della città eseguita da Dionisio II di Siracusa dopo l’espugnazione del padre Dionisio I. Un altro tratto di mura, la più antica testimonianza risalente all’VIII secolo a.C., si trova nella parte alta della città, sulla Collina degli Angeli, ed, infine, un altro tratto ancora, situato sulla collina del “Trabocchetto” è denominato “Parco Archeologico Trabocchetto”.
(foto fonte Wikipedia Mura Greche Reggio Calabria)
Una notevole parte di reperti dei sopradetti siti archeologici sono conservati al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, al Museo Archeologico di Locri e al Museo Archeologico di Napoli. A tre chilometri a sud della Locri moderna, si conservano i resti della colonia di Locri Epizefiri fondata dai greci tra VIII- VII sec. a.C., mentre intorno al VII sec. d.C., molto più tardi, le incursioni saracene spinsero gli ultimi abitanti locresi a rifugiarsi nelle alture vicine, dove fondarono Gerace. Accanto a Melito Porto Salvo si staglia il pittoresco borgo di Pentedattilo, fondato anch’esso, come Reggio, dai Calcidesi, ed arroccato su un monte somigliante una ciclopica mano con cinque dita (dal greco: penthe+daktylos cinque dita). Di questa multiforme cultura greca si è tramandato, fino ai nostri giorni, il grecanico, antichissima lingua risalente alla colonizzazione greca e ancora parlata dai Grecanici o Greci di Calabria, che abitano nella vallata della fiumara Amendolea e sui rilievi del versante orientale di questo corso d’acqua. I grecanici, con la loro tradizione culinaria, la vivacità del Festival Etnomusicale Paleariza (che vuol dire “antica radice” in greco e si svolge annualmente nell’area Ionica e grecofona della provincia di Reggio Calabria) e la preziosa lingua, sono depositari di un patrimonio fatto di riti, credenze e tradizioni peculiari di quella civiltà e identità storica. Bova, considerata fulcro dell’area grecanica, è inserita nel circuito dei borghi più belli d’Italia. Durante la fase della colonizzazione greca, Bova Marina si inserì tra le due potenze coloniali di Rhegion e Locri, ricadendo nella sfera d’interesse della polis di Rhegion. Questo centro accoglie dal 2016 il Museo della lingua greco-calabra intitolato a Gerhard Rohlfs, situato probabilmente nel punto in cui il viaggiatore Edward Lear disegnò un bellissimo scorcio di Bova, durante il suo Grand Tour. Roghudi Vecchio, a una ventina di chilometri da Bova, caratterizzato da paesaggi dai declivi digradanti verso il mare, è denominato il “borgo fantasma”, perché spopolato in seguito alle alluvioni del 1971 e del 1973 e raggiungibile solo percorrendo una piccola strada. Il nome stesso di questo piccolissimo centro ( dal greco rochódes,‘roccioso’) preannuncia la sua conformazione consistente in ruderi su uno sperone di roccia, sospeso, a sua volta, sulla fiumara dell’Amendolea. Si possono ammirare la Rocca del Drago e le Caldaie del latte, rocce modellate dall’erosione a forma di caldaie. Secondo una leggenda che ha origine dalla mitologia greca, e precisamente nella contrada di Ghalipò, vivevano le Naràde o Anaràde. Erano donne dalle sembianze umane con zoccoli di asina, antropofaghe e poco furbe, che si aggiravano facendo dispetti e incutendo timore nella comunità locale. Gallicianò (Γαḍḍικ̍ιανό, Gaḍḍicianò in greco di Calabria), borgo della frazione di Condofuri posto su un contrafforte del Monte Scafi, risale anch’esso all’ VIII secolo a. C. e il suo isolamento ha fortemente influito sul mantenimento delle antiche tradizioni e della lingua greca di Calabria. Diventata precaria la tradizionale economia agricola e sradicate in gran parte le comunità dai luoghi di origine (Roghudi, per esempio,è stato abbandonato per alcune frane e ricostruito all’interno del territorio di Melito Porto Salvo), tuttavia, ancora oggi, nell’ area grecanica sono sopravvissute e sono riscontrabili alcune attività e tracce culturali riconducibili alla Magna Grecia. Esse vanno dalla pastorizia tramandata a livello familiare all’incisione su legno di motivi della tradizione, dalla lavorazione della pietra e della ceramica alla tessitura della ginestra e ai manufatti coloratissimi delle coperte di Chorìo di Roghudi, dalla danza e dalla musica tradizionale che mette in evidenza la ciaramella e il tamburello alla cucina e alla produzione vinicola fino, inoltre, alla pregevole lavorazione della seta. Per cogliere, aldilà della lingua, l’ancora profondo legame culturale con il mondo greco, basta osservare i riti legati alla coltivazione della terra, quelli rifacentesi alla preparazione dei dolci e del pane e quelli funebri.
Durante la dominazione dell’impero romano d’Oriente o impero bizantino, gli imperatori di Costantinopoli hanno più volte tentato di conquistare la penisola italica, riannettendo negli anni territori più o meno vasti e favorendo al contempo lo spostamento di religiosi, talvolta di interi ordini monastici, verso il Meridione d’Italia, caposaldo delle loro operazioni militari. Il periodo bizantino della Calabria, noto anche come seconda colonizzazione greca, è durato circa cinque secoli (dalla metà del VI d.C. alla metà dell’XI secolo d.C.) e ci ha lasciato profonde tracce culturali, sopratutto letterarie e architettoniche. In questo periodo fiorì il cenobitismo col sorgere in tutto il territorio di innumerevoli chiese, eremi e monasteri in cui i monaci basiliani calabro-greci si dedicavano soprattutto alla trascrizione dei testi classici. Le più importanti tracce dell’epoca bizantina si possono riscontrare nella città di Gerace (dal greco Hagìa Kiriaki, poi modificato in Hierakis),detta la “Gerusalemme di Calabria,” con la sua antichissima Cattedrale, le rovine del Castello e la chiesetta di San Giovanni Crisostomo detta “San Giovanello”, che ancora oggi conserva il rito bizantino. Posta a 500 m. s.l.m. e fondata,come già detto, agli inizi del X secolo a.C. dai locresi in fuga dai pericoli della costa, prosperò in età bizantina fino al 952 e nel 1062 entrò a far parte del dominio normanno che ne continuò a mantenere la lingua ed i riti greco-bizantini. Altre evidenti tracce bizantine si possono ammirare nella Cattolica di Stilo, edificio di culto del Catepanato d’Italia ( provincia dell’Impero bizantino), nel Comune di Staiti con le rovine bizantine dell’Abbazia di Santa Maria dei Tridetti e nel monastero greco ortodosso di S. Giovanni Therestis presso Bivongi, dove ancora oggi risiede una comunità monastica romena ortodossa. Secondo una leggenda,intorno al IX secolo d.C., furono proprio i monaci bizantini a fondare una piccola colonia e una chiesa, che si identificherebbe con il Santuario di Polsi dedicato al culto della Vergine Maria “Panaghìa”, ossia la “Tutta Santa”. Inoltre sulla cima del borgo di Gallicianò sorge la chiesetta, dall’architettura bizantina, dedicata alla Madonna della Grecia che, di recente, è stata data in affidamento ai monaci greci del monte Athos che reggono anche il monastero di San Giovanni Therestis a Bivongi. Anche Bova, con la presenza di piccole chiese bizantine, il culto dei santi orientali e il monachesimo italo-greco, testimonia di essere stata la sede della più longeva diocesi greca d’Italia fino al 1572 e il borgo di S. Lorenzo, nel quale si continuò a parlare il greco fino alla prima metà del XVIII secolo, è stato edificato, secondo la tradizione, intorno all’ antico convento basiliano di S. Fantino. Il borgo di Brancaleone superiore, sorto intorno al X secolo a.C., rivela, invece, la presenza di grotte antropiche, celle scavate nella roccia ed utilizzate dai monaci basiliani come luoghi di meditazione, come anche le Grotte di Sperlonga dove si ammirano resti di affreschi del XIII secolo d.C. AfricoVecchio, risalente all’XI secolo a.C., fu abbandonata in seguito all’alluvione degli anni ’50 e oggi, nello stesso sito, sono visibili i resti di un monastero bizantino. Persa infine la liturgia e la religiosità di influenza bizantina, furono abbandonati pian piano anche i costumi tradizionali e gli ultimi esempi, sia quelli femminili che quelli maschili, scelti dall’antropologo Raffaele Corso per le celebrazioni del cinquantenario dell’Unità d’Italia, sono ora presso il Museo Nazionale delle Arti e delle Tradizioni Popolari di Roma. A conclusione di questo itinerario, ricordiamo un altro proverbio, stavolta francese: “Tanto vale l’uomo, tanto vale la terra” a sottolineare quanto, la civiltà greca prima e la bizantina poi, abbiano trovato terreno fertile sui nostri lidi per svilupparsi e diffondersi creando, in vari periodi storici, un solido trait-d’union fra le culture mediterranee più influenti. Quindi la consapevolezza della “nostra” civiltà classica, accolta ed elaborata virtuosamente, quale eco dapprima e fucina originale poi, e divenuta modello di riferimento culturale, serva sempre da sprone e viatico per il consolidarsi di una società attuale che, incentrandosi sulla tipica philoxenìa calabrese, sia oggigiorno sempre di più coesa e al contempo proiettata su un futuro di accoglienza e di sviluppo turistico.