di Emanuela Alvaro
Ho capito che essere medico va oltre il soccorrere materialmente un paziente. L’ho appreso la scorsa notte al Pronto soccorso del Presidio Ospedaliero di Locri.
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In un luogo che trasmette tanta tristezza, ma al quale in alcune occasioni, mio malgrado, devo fare riferimento, mio padre ogni tanto opta per questo tipo di “scampagnate”, ho notato che, più della precarietà di una sanità allo sbando, più che la consapevolezza dell’intenzione di terminare questo ospedale, privandolo quotidianamente di qualcosa di importante, ad essersi deteriorati, non sono i macchinari, le mura, il contesto generale, ma i rapporti umani e come un medico dovrebbe porsi con una persona che si reca lì, certo non con l’intenzione di disturbare chi sta lavorando.
Manca la volontà di discernere i diversi casi che si possono presentare, manca la volontà di “avvicinarsi” a quello che prova in determinate situazioni chi si sente poco bene, chi sa di dipendere da una altra persona e i familiari che, impotenti, si trovano ad dover attendere che tutto migliori, se migliora.
Rivolgersi ad una persona che chiede aiuto dicendo di avere dolore al petto, con frasi del tipo “ok! Aspetti fuori, come si libera un lettino la visitiamo”, senza neanche capire la gravità della patologia, senza neanche controllare se il lettino era libero e con tono poco cordiale, credo non sia l’approccio giusto per un medico che, prima di tutto deve capire i propri pazienti e accoglierli. E poi una volta fatta entrare, perché la persona con il dolore al petto ha “preteso” attenzioni, ha proseguito il proprio lavoro apostrofando a bassa voce che “giusto a quest’ora si ricorda di avere la fibrillazione atriale”, come se sentirsi più o meno male rispetto al pomeriggio o al giorno prima fosse programmabile.
Non dimentico i tanti casi in cui i dottori di questo Pronto soccorso sono stati vittime di aggressioni e non dimentico, anzi è stato sottolineato con articoli sui giornali chi ha fatto del bene e lavorato con umiltà. A questi dottori che giornalmente portano avanti non un lavoro, ma una missione chiedo maggiore attenzione, pretendendo da tutti un atteggiamento diverso più vicino al malato.
E per chi ha giurato, ma ha dimenticato il valore dello stesso, consiglio una rilettura approfondita.
GIURAMENTO DI IPPOCRATE:
Consapevole dell’ importanza e della solennità dell’ atto che compio e dell’ impegno che assumo, giuro: di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento; di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’ uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale; di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente; di attenermi alla mia attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona, non utilizzerò mai le mie conoscenze; di prestare la mia opera con diligenza, perizia, e prudenza secondo scienza e coscienza ed osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione; di affidare la mia reputazione esclusivamente alla mia capacità professionale ed alle mie doti morali; di evitare, anche al di fuori dell’ esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il prestigio e la dignità della professione. Di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni; di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità condizione sociale e ideologia politica; di prestare assistenza d’ urgenza a qualsiasi infermo che ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità a disposizione dell’Autorità competente; di rispettare e facilitare in ogni caso il diritto del malato alla libera scelta del suo medico, tenuto conto che il rapporto tra medico e paziente è fondato sulla fiducia e in ogni caso sul reciproco rispetto; di osservare il segreto su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell’ esercizio della mia professione o in ragione del mio stato; di astenermi dall’ “accanimento” diagnostico e terapeutico.