Gioia, gratitudine, riconoscente ammirazione sono i sentimenti che provo puntualmente ogni volta che partecipo a una visita organizzata dall’Archeoclub di Locri. Ed è stato così anche quest’anno, dopo aver preso parte all’evento del 29 luglio presso il museo nazionale da poco restaurato.
Gioia per i tesori che questa terra generosa ci elargisce; tesori alla luce del sole, ma su cui il turista si sofferma troppo poco, travolto com’è dal turbine dell’estate. E invece l’estate vuole essere soprattutto la stagione del ritmo lento, della riscoperta paziente, della paziente rieducazione dello sguardo alla bellezza.
Gratitudine per gli uomini e per le donne del passato, che nel tempo si sono spesi per riscoprire e conservare un patrimonio immenso, portando avanti con sforzo tenace un lavoro comune che attraversa i secoli: Paolo Orsi, Alfonso De Franciscis, Umberto Zanotti Bianco, per citare solo i più noti. Nomi che nulla mi dicevano prima di iniziare a frequentare, tre anni or sono, gli eventi estivi organizzati dall’Archeoclub di Locri.
Riconoscente ammirazione, infine, per chi, nel presente e nonostante gli ostacoli, ancora si adopera per preservare, valorizzare, diffondere la conoscenza di quanto finora è stato riportato alla luce, con sguardo duplice di Giano bifronte, rivolto al passato e proiettato sul futuro; sul futuro perché più del 60 % dei tesori di Locri è ancora sotto terra e molto resta da disseppellire; sul passato per non far dimenticare le storture e i nodi irrisolti.
Persone come l’ex senatrice Margherita Corrado, del cui libro Interrogare la sfinge, ha parlato, durante la conferenza stampa del 28 luglio a palazzo Nieddu del Rio in Locri, l’autrice stessa, che non si è stancata mai, durante la sua attività parlamentare, di interrogare il ministro, riportando alla memoria pubblica la querelle sul possibile ritorno in Italia della statua di Persefone, oggi conservata all’Altes Museum di Berlino, furtivamente sottratta (con grande probabilità proprio a Locri) e illecitamente venduta negli anni della Grande Guerra; o, ancora, Pino Macrì, anch’egli presente alla conferenza e che, con il suo libro inchiesta Sulle tracce di Persefone, due volte rapita, aveva già richiamato sulla controversa vicenda l’attenzione nazionale, unendo toni appassionati a una seria acribia documentaria; e, ancora, il professor Elia e la professoressa Meirano, impegnati fino a poche settimane fa, con la scuola archeologica di Torino, a ripulire il nuovo tratto delle mura extraurbane di Locri Epizefiri da poco restaurato e ora visibile per la prima volta.
Ma come loro molti altri che, coniugando passione e lucido impegno intellettuale, si spendono concretamente, di anno in anno, ciascuno nel proprio ambito di competenza, nell’intento comune di valorizzare il patrimonio culturale locale, in ideale continuità con i grandi uomini del passato e a dispetto degli innumerevoli ostacoli.
Molte gocce formano il mare e l’augurio è proprio questo: che il loro numero possa ulteriormente accrescersi, così come si è accresciuto il ventaglio delle visite proposte dall’Archeoclub per l’estate 2023: alla villa romana di Casignana, al museo archeologico nazionale di palazzo Nieddu, al complesso di Casino Macrì, dedicato alla vita di Locri in età romana e complementare all’evento tenutosi lo scorso 29 luglio al museo archeologico nazionale di Locri. “Museo, non più Antiquarium, dal 1998”, come piace ricordare ogni anno a Nicola Monteleone, presidente dell’Archeoclub e guida che ha accompagnato come sempre, con grande competenza e profonda passione, il folto pubblico alla riscoperta del passato.
Nel mostrarci il nuovo allestimento interno, N. ha ricordato come usi, costumi e tradizioni locali affondino le radici nel mondo greco, sottolineando i profondi addentellati di questo col nostro presente, descrivendo i principali reperti esposti nelle teche e la loro storia, con parole appassionate, appassionanti, evocative di antiche immagini, figure e gesti davanti ad occhi affascinati e stupefatti: i nostri. Parole, le sue, che hanno saputo non solo illuminare volti, ma anche accendere curiosità e destare domande, anche tra i giovani e giovanissimi presenti in numero piacevolmente consistente.
La visita si è protratta all’esterno con una passeggiata nell’area extraurbana riservata ai culti delle grandi divinità, a ridosso del perimetro dell’antica colonia greca, vero e proprio oppidum, con i suoi 7,5 Km di mura difensive che cingono 300 ettari di terra. Attraversando l’area di Zeus saettante, il santuario di Demetra e il tratto di mura di recente restauro, ci sono stati via via mostrati i siti di ritrovamento dei reperti esposti all’interno: perché questo museo ha la peculiarità e il grande pregio di permettere al visitatore di ammirare prima l’oggetto antico e poi il luogo della sua originaria collocazione.
Il tour si è concluso, come di consueto, davanti alla santuario di Marasà. Qui, con lo sguardo proiettato sull’ultimo lembo di colonna ionica superstite, N. ha ridisegnato, con parole appassionanti, la mole poderosa delle colonne, dell’acroterio e delle due statue dei Dioscuri a cavallo dei loro tritoni, un tempo svettanti oltre le mura e visibili dal mare: delle due una sola è stata ritrovata, ed è oggi collocata presso il museo nazionale di Reggio, come molti dei reperti rinvenuti a Locri. Infine, dopo la rituale foto di gruppo sul far della sera, gli ultimi saluti e il ritorno a casa.
E proprio durante il tragitto, con quella bellezza ancora sotto alle palpebre, andavo riflettendo sul fatto che una visita così non può definirsi semplicemente un evento divulgativo, ma piuttosto educativo, anzi psicagogico, nel senso etimologico del termine: perché ogni anno smuove e commuove, seduce e conduce anime ignare alla conoscenza del bello.
(Livia Archinà)