di Francesco Tuccio
ROCCELLA JONICA – Sarebbe per me una imperdonabile presunzione se mi improvvisassi critico d’arte, senza averne gli strumenti per farlo.
{loadposition articolointerno, rounded}
Avendo visitato la mostra del cauloniese Enzo Niutta, a “L’Ombligo de la Luna” di Roccella Ionica, posso riferire delle impressioni che le opere mi hanno trasmesso e, forse, vogliono trasmettere.
C’è una indubbia ricerca di sé stesso in un luogo e in un tempo identificati, memoria collettiva che, altrimenti, potremmo definire radici.
Quelle che qualche autorevole autore ha catalogato come prigione, ibernazione del pensiero, qualcosa di negativo che ci ancora al passato e ci impedisce di leggere il presente e di aprirci al futuro.
A mio modesto parere non è così. C’è un tempo imprevedibile, senza età, in cui si fa stringente la ricerca del proprio senso della vita per ricaricare le batterie e ricominciare, continuare, oppure per terminare dignitosamente.
Un bisogno singolare e plurale che inevitabilmente riconduce al luogo natio, a quando e dove abbiamo composto il pentagramma musicale primitivo, dove le note sono odori, sapori, rumori, parole, sensazioni, immagini, persone, vicende del vissuto.
Allora, il punto è scoprire l’essenza di quelle note: simboli, valori e sentimenti come tramiti per evadere dal locale, e proiezione nell’universale, un globale sentito e condiviso.
Raffigurare questo concetto è compito dell’artista, ed Enzo Niutta lo è, prediligendo la riflessione. Non ha da dire qualcosa, ma qualcosa da dire con un surrealismo magico, a tratti fiabesco, una evanescenza sognante.
Nelle sue opere le radici sono usate, divengono materia, cornice, struttura viva, parlante e significativa su cui si sovrappongono linee e colori, immagini armoniose che le attualizzano.
Non manca della sensibilità per scavare nell’animo popolare della nostra gente. Una figura (non in mostra), per me, emerge su tutto.
Realmente vissuto: “Ntoni i scianca”, un uomo della montagna che scendeva spesso al paese. Semplice e povero, incapace a provvedere a sé stesso senza la generosa solidarietà degli altri, quella della cultura contadina con il bicchiere di vino sempre pieno sulla tavola ospitale.
“Ntoni i scianca” è appartenuto ad un altro mondo, ma c’è qualcosa che lo potrebbe rendere attualissimo, dal significato profondo. Una sola pennellata di colore nero.
Ed ecco che tornano nei nostri tempi radici e valori antichi, le nostre coste, frontiere aperte ai conflitti e ai drammi epocali, il nostro retroterra accogliente.
Qui e in Sicilia si riscatta lo Stato cinico e incapace, qui si rifà il volto umano della democrazia, dell’Italia nel contesto delle nazioni.
Ridipingilo Enzo: “Ntoni i scianca” con il la faccia e le mani nere, salda passato e presente su un relitto di barca per guardare ad un nuovo futuro!