di Gianluca Albanese
LOCRI – Il boss di Antonimina “Cola” Romano voleva mettere le mani sulla costruenda variante “B” della strada statale 106, specie nel tratto che attraversa quella che considerava come la sua “zona di competenza”.
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E’ quanto si evince dall’esame di uno dei principali investigatori che condussero le indagini tese a fare scattare oltre sessanta misure restrittive ai danni di presunti boss e gregari di ‘ndrangheta dei piccoli centri interni della Locride, ovvero Ciminà, Sant’Ilario dello Jonio, Ardore e la stessa Antonimina, fino a formare una vera e propria “corona” di ‘ndrine “consorziate” al cui vertice c’era proprio il geometra di Antonimina, secondo l’accusa una sorta di “longa manus” costante su tutti i lavori che si facevano nella propria zona, dal nuovo stabilimento termale, alla stessa Nuova 106.
Il processo, denominato “Saggezza“, come l’operazione della DdA di Reggio Calabria da cui trae spunto, ha celebrato oggi la propria udienza, in cui è stato interrogato il maresciallo dei Carabinieri Vincenzo Cannone, uno dei principali investigatori – appunto – dell’inchiesta, che ha documentato, citando i progressivi delle conversazioni telefoniche intercettate, come Romano e il suo sodale Massimo Siciliano, fossero habitué degli uffici dell’Astaldi, il general contractor dei lavori per la realizzazione dell’importante arteria stradale del Mezzogiorno.