OPERAZIONE “SAGGEZZA” – DAL COMUNICATO UFFICIALE
“Le indagini compiute dai Carabinieri, coordinati dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria – Direzione Distrettuale Antimafia – nell’ambito del Procedimento Penale n.4818/06 DDA, si sviluppano con attività intercettive e O.C.P. di alcuni personaggi inseriti nel contesto malavitoso locrese; hanno consentito di appurare l’esistenza di un’associazione per delinquere di stampo mafioso inserita nel più ampio quadro criminale dell’associazione denominata ‘ndrangheta, in aderenza con le risultanze dell’indagine convenzionalmente denominata “Il Crimine”.Il sodalizio oggetto di indagine è dotato di una struttura guidata da MELIA Vincenzo , “Capo Corona”, affiancato da due “capi consiglieri”, NESCI Nicola e ROMANO Nicola , e due “consiglieri”, indicati nel corso delle intercettazioni ambientali in VARACALLI Giuseppe e SICILIANO Giuseppe . Il gruppo di indagati a cui si è fatto cenno costituiva una articolazione intermedia, posta superiormente ai “locali”, le unità territoriali di base, e articolata sul territorio in modo da “associare” alcune piccole realtà territorialmente simili.
Tale struttura veniva definita dai due principali indagati, ROMANO Nicola e MELIA Vincenzo, con il nome di “Corona”.
In effetti alcuni dei componenti, sicuramente NESCI Nicola, RASO Giuseppe e VARACALLI Giuseppe, venivano espressamente indicati come assegnatari della funzione di “capi locale”, ciascuno per un preciso ambito territoriale, mentre gli altri erano individuati grazie alla ricostruzione effettuata nel corso delle attività investigative”.
La struttura del gruppo oggetto di indagine, nei dialoghi riportati nelle intercettazioni indicata come “Corona”, era piuttosto chiara. Vi era un “capo corona” che nel periodo in cui sono state svolte le indagini era sicuramente identificabile in MELIA Vincenzo, anziano uomo d’onore in possesso delle “doti” sin dal 1962 ed in grado di decidere, come tutti i capo mafia di alto spessore criminale, senza dover dare conto a nessuno delle proprie azioni, affiancato dai due “capi consiglieri”, ROMANO Nicola e NESCI Nicola, quest’ultimo individuato quale “capo locale” di Ciminà e legato anche da vincoli di parentela alla cosca SPAGNOLO, già emersa nel corso di altre attività di P.G. per traffico internazionale di stupefacenti.
I dialoghi intercettati rivelavano l’appartenenza al sodalizio mafioso, regolato da norme ben precise: “Voi vi siete segnato ed io mi sono segnato…omissis… questo ci siamo segnati, ci siamo segnati e siamo rientrati in un “discorso.. che sappiamo che è sacro”!” e, soprattutto, il desiderio di continuità che l’associazione voleva assicurarsi, in quanto MELIA Vincenzo faceva riferimento al proprio “testamento mafioso”, alla cessione delle proprie doti in favore degli affiliati più fedeli e più affidabili.
La proposta dell’emigrante ora residente ad Ardore era stata quella di assegnare a ROMANO Nicola il grado di “capo corona”, che egli stesso aveva rifiutato poiché, rispettoso delle gerarchie, riconosceva a NESCI Nicola il diritto di esserlo, essendo questi maggiormente “dotato” rispetto a lui.
MELIA comunque, pur avendo lanciato la proposta e tastato il polso della situazione, era deciso a “liberare le doti” solo in punto di morte, in quanto fortemente convinto di poter tranquillamente governare la “Corona” grazie all’aiuto dei due validi collaboratori.
La discussione in merito alle vicende dell’associazione scaturiva da un episodio di non poco conto, in quanto uno dei componenti di maggior peso, l’indagato VARACALLI Giuseppe , si sarebbe reso responsabile di un comportamento poco rispettoso delle “regole”, tanto da far parzialmente ricredere il MELIA Vincenzo in merito alla sua affidabilità. Il “capo locale” di Ardore si era lamentato con i vertici per un mancato saluto da parte di un affiliato venuto dall’Australia, l’indagato VARACALLI Luigi , ma aveva successivamente omesso di informarli che la mancanza era stata colmata, “rappezzata, cucita sacra”, ed ogni divergenza era stata appianata.
In occasione di un pranzo di nozze in Antonimina, svoltosi qualche giorno prima, si erano incontrati i due “capi consiglieri”, ROMANO Nicola e NESCI Nicola, ed il loro colloquio aveva riguardato inevitabilmente le vicende del sodalizio a cui appartenevano
Assieme ai tre soggetti posti ai vertici della “corona” vi erano altrettanti individui, alcuni dei quali erano anche “capi locale”:
– VARACALLI Giuseppe, uomo di grande spessore criminale, mafioso per discendenza, secondo quanto accennato in precedenza, a capo di un vasto “locale”, facente parte integrante della “Corona” ed in lizza, assieme al cognato SICILIANO Giuseppe, per l’ottenimento di ulteriori “doti” da parte del suo superiore gerarchico MELIA Vincenzo:” gli dite a Peppe Varacalli ed a Peppe Siciliano, sotto la mia piena responsabilità, le sue doti sono per la “Sacra Corona” sono conservate ..una parola incomprensibile.. chiuso e basta! .. quando sto comodo”.
– RASO Giuseppe, già individuato quale soggetto di alto interesse investigativo, inserito nella “corona”, si era comunque messo negativamente in luce quale elemento di disturbo all’interno dell’associazione. Costui infatti aveva rischiato di destabilizzare l’ambiente e rompere gli equilibri esistenti, con il suo atteggiamento di sfida a ROMANO Nicola, all’interno di un “locale”, Antonimina, diverso da quello di competenza, ma nel quale risiedeva con la propria famiglia.
Si poteva cogliere in modo del tutto diretto, senza necessità di interpretazioni di alcun genere, il rammarico che, sia ROMANO Nicola sia MELIA Vincenzo, provavano per la concessione a costui della “dote” di “capo locale” del territorio di Canolo.
Infatti MELIA Vincenzo sottolineava al ROMANO Nicola che “per voi è stato fatto di Canolo”, tanto che quest’ultimo ammetteva amaramente di aver clamorosamente sbagliato nella valutazione del soggetto, in quanto si era poi dimostrato inaffidabile e poco rispettoso delle “regole d’onore”.
– FABIANO Giuseppe , alias “Peppe u lupu”, era l’ultimo soggetto individuato come componente dell’organigramma del sodalizio, in quanto MELIA Vincenzo diceva: “ora perché siamo, perché dobbiamo? dobbiamo aiutarci? ora “Peppe il lupo” è uscito in libertà..”, sottintendendo che lo stesso era parte integrante del loro gruppo criminale.
La “Corona” era un’articolazione territoriale della ‘ndrangheta basata sull’assegnazione di “cariche” e di funzioni specifiche , che vedeva al vertice un anziano uomo d’onore, MELIA Vincenzo, affiancato da VARACALLI Luigi e dai due suoi più stretti consiglieri, ROMANO Nicola e NESCI Nicola, ed aveva la funzione di raggruppare le ‘ndrine dei centri meno importanti per dare loro, così riunite, un peso maggiore di quanto non ne avrebbero da isolate, nell’ambito criminale della ‘ndrangheta. Per tale motivo al suo vertice era posta una “personalità autorevole”, dall’indiscusso spessore criminale, che potesse quindi confrontarsi alla pari con i capi delle cosche e dei “locali” più importanti, non tanto per “peso specifico”, che, come già descritto, proprio per la peculiarità che contraddistingue la criminalità calabrese, vede i capi, ai vari livelli, sullo stesso piano, ma per capacità finanziarie e militari.
L’assegnazione delle “doti” avvenuta in epoca precedente all’inizio delle indagini si era rivelata però costellata da errori e ripensamenti, al punto che MELIA Vincenzo era più volte tentato a fare un passo indietro e riassegnare alcune cariche all’interno dell’associazione. ROMANO Nicola dal canto suo svolgeva la sua funzione di “consigliere” e placava più volte le ire dell’anziano “capo corona”, suggerendo di lasciare le cose così come erano state decise in principio, anche perché aveva valutato la possibile reazione negativa degli altri consociati.Le indagini compiute avevano dimostrato che il rapporto di affiliazione tra i vari consociati, in primis tra i “capi locali” e, in secondo luogo, tra i componenti di ciascun locale, caratterizzava molti aspetti sia della loro sfera personale che di quella lavorativa.
Si riporta nuovamente una frase, già precedentemente citata, ma che può riassumere nella propria laconicità il filo conduttore dell’intera indagine: “il rispetto, il rispetto dobbiamo dirglielo, deve essere reciproco o per bene, perché qua non siamo per duecento anni… quest’altro poco che siamo …omissis… che ci valutiamo a vicenda belli e puliti e che ci guardiamo le spalle l’uno con l’altro..”. In sostanza è apparso in modo piuttosto chiaro, nell’arco temporale durante il quale si è svolta l’attività investigativa, che i rapporti tra le diverse anime della “Corona” non erano basati su incontri periodici, come gli stessi indagati ROMANO Nicola e MELIA Vincenzo avrebbero inizialmente preferito, ma si evidenziavano in occasione di vicende soprattutto negative che interessavano i singoli, cioè al momento del bisogno, o in occasione di eventi lieti o luttuosi, come le cerimonie nuziali, occasioni imperdibili per riunirsi e discutere anche problematiche di rilevo, e tutto ciò nell’ottica di quel “rispetto reciproco” così tanto invocato. Rileva inoltre come i dialoghi ambientali censurati , definiti dal Giudice estensore dell’Ordinanza “di altissimo valore investigativo e probatorio”, per la prima volta attualizzano, attribuendone eccezionale concretezza, i contenuti di un documento sinora ritenuto di valore storico nella descrizione delle gerarchie della ‘ndrangheta, il codice sequestrato nel 1987 a Reggio Calabria nel covo del latitante CHILA’ Giuseppe al momento del suo arresto, in cui già si faceva riferimento alla “Corona”. E’ stato infine individuato il circuito di interessi economici e societari riferibili agli indagati, ed in particolare le attività economiche attraverso le quali gli stessi indagati che le gestiscono conseguono i propri profitti illeciti, acclarando ipotesi di condizionamento degli appalti pubblici mediante atti di concorrenza sleale, di gestione e controllo diretto ed indiretto di attività economiche, in particolare nel settore edilizio, del movimento terra e del taglio boschivo in località aspromontane, di ostacolo al libero esercizio del voto (condizionandone l’elezione di organi istituzionali quali ad esempio il Presidente della Comunità Montana “Aspromonte Orientale”) nonché disarticolando un circuito di usura ed esercizio abusivo dell’attività di credito. Nella circostanza sono state sottoposte a sequestro preventivo quattro imprese attive nel settore edile e del taglio boschivo, con relativo patrimonio immobiliare, per un valore economico stimato in 1 milione di euro circa:
– Società a Responsabilità Limitata M.A.R. UNIPERSONALE (poi M.A.R. S.r.l.), con sede ad Antonimina in c/da Santa Croce s.n.c.
– Impresa individuale LA RADICA di FAZZARI Teresa, con sede ad Antonimina in c/da Bagni n.14;
– Impresa individuale LE VIE DEL LEGNO di POLLIFRONI Carmine, con sede ad Antonimina in c/da Bagni n.14/2;
– Società a Responsabilità Limitata DUE MONTI LEGNAMI.