(ph. Enzo Lacopo)
SAN LUCA – A pochi passi dalla casa natale di Corrado Alvaro nella Chiesa di Maria SS della pietà, in pieno centro storico a San Luca è stata celebrata una messa solenne in commemorazione dell 28° anniversario della morte del brigadiere Carmine Tripodi.
Oltre ai familiari e congiunti del Brig. Carmine Tripodi erano presenti gli alunni dell’Istituto scolastico di San Luca, cittadini, associazioni della Locride dei CC in Congedo e rappresentanti dell’Assemblea dei Sindaci della Locride. Hanno preso parte il Sindaco di San Luca Sebastiano Giorgi, il neoProcuratore della Repupplica di Locri Luigi D’Alessio, il Comandante della Legione CC – Calabria,Generale di Brigata Adelmo Lusi, il Colonnello del Gruppo Territoriale CC di Locri Giuseppe De Liso, i comandanti delle rispettive Compagnie di Locri Nico Blanco, di Roccella J.ca, di Bianco e di S.Luca, i comandanti e dirigenti della Polizia di Stato Comm. Capo di Bovalino Giovanni Arcidiacono, del Corpo Forestale dello Stato, della Guardia Costiera di Roccella J.ca Antonino Indelicato ed il colonnello delle Fiamme Gialle di Locri; inoltre hanno partecipato il vicepresidente della Provincia di Reggio Cal. Giovanni Verduci, e varie istituzioni della Locride. La messa è stata celebrata dal vescovo della Diocesi di Locri-Gerace mons. G. Fiorini Morosini coadiuvato da Don Pino Strangio ed altri due prelati diocesani. Una forte e toccante Omelia, sottoriportata, è stata espressa da Mons. Morosini, affermando che non é sufficiente rispettare la legge per sconfiggere la criminalità, ma serve fare ciò che ci compete, ognuno rispettando il proprio posto senza aspettare che altri facciano ciò che non é di loro competenza. Inoltre gli alunni dell’Istituto Comprensivo “San Luca – Bovalino” di S.Luca hanno interpretato l’emozionante canto della “Virgo Fidelis”. Infine nel vicino plesso, la dirigente scolastica Domenica Cacciatore assieme ai suoi scolari, ha fatto dono al Comandante della Legione Carabinieri Calabria, di un opera d’arte che il Generale ha poi girato al Comandante dei CC di San Luca.
Enzo Lacopo
Di seguito, riportiamo il testo integrale dell’omelia del vescovo Morosini
«Carissimi, Le letture della liturgia di oggi sembrano quasi scelte per la circostanza per cui siamo convenuti qui in Chiesa: ricordare il martirio del brigadiere Tripodi, ucciso dalla criminalità organizzata mentre compiva il suo dovere. La prima lettura esalta la figura di Davide e le opere straordinarie da lui compiute, anche quella di aver ucciso con una fionda il gigante Golia per salvare il popolo. Il Vangelo ci ricorda S. Giovanni Battista, fatto uccidere dal re Erode perché gli rimproverava la sua pessima condotta morale. In entrambe le figure c’è la lotta impari, non equilibrata, tra il giusto (Davide e Giovanni) che appare sempre più debole e il malvagio (Golia e Erode) che sembra trovarsi sempre in una posizione di forza. E’ facile per noi oggi leggere queste due letture nella prospettiva dell’avvenimento che celebriamo: il brigadiere Tripodi dalla parte del giusto che lotta contro il male per proteggere il popolo, e dall’altra parte la mano assassina di un malvagio, che lo ha ucciso per conto della ‘ndrangheta. Alla luce di questi episodi biblici e ricordando come è morto il brigadiere, ci viene da dire, ma chi glielo ha fatto fare? La stessa cosa che potremmo dire di S. Giovanni: ma perché non se ne è stato zitto? Entrambi che ci hanno guadagnato morendo? Gesù non si è posto queste domande, ma ha esaltato l’onestà del Battista, la coerenza di vita, il servizio che ha reso al popolo richiamandolo a conversione per preparare a lui la strada dell’annuncio della salvezza. Quale credibilità avrebbe avuto S. Giovanni verso il popolo, se, dopo aver predicato a tutti il cambiamento di vita, avesse taciuto le colpe del re, solo perché il re poteva vendicarsi nei suoi confronti e fargli del male? Gesù, abbiamo detto, lo loda: Chi siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? No, avete visto un profeta, cioè un uomo forte e coerente che ha convalidato con la vita il messaggio che annunciava. Proprio perché profeta, Giovanni accetta di morire per dire a tutti che non bisogna cedere mai al male, ma è necessario convertirsi e spingere a conversione quelli che agiscono male, anzi impedire loro di fare questo male. E noi oggi lo ricordiamo come santo, lo veneriamo, facciamo festa nel suo ricordo. La stessa cosa potremmo dire di Tripodi: ma chi glielo ha fatto fare? Poteva vivere tranquillo, farsi la sua famiglia, fare il suo dovere, ma senza esporsi più di tanto. Che ne ha avuto? La morte. Se fosse valido questo ragionamento, sarebbe la fine della vita e della convivenza umana; non ci sarebbe sviluppo, crescita scientifica, miglioramento economico, la vita di tutti sarebbe in mano dei prepotenti, con la sofferenza e l’umiliazione di tutti. Così è con la ‘ndrangheta: un’associazione criminale e prepotente che vuole imporsi con la violenza sulla vita e serenità dei cittadini. Perché è falso che la criminalità organizzata è a favore del popolo e vuole il suo bene. La ‘ndrangheta è il potere di pochi che vogliono godersi la vita a discapito di chi cade nella loro rete, che rimarranno sempre poveri e senza benefici reali, se non quello di essere esposti alla legittima reazione della società, che, mediante le forze dell’ordine, cercano di difendersi e far rispettare i propri diritti. Il brigadiere Tripodi ha agito in questo contesto, guidato da questi valori: il suo sacrificio per noi oggi non è un fallimento. Quale dignità avrebbe avuto, se, dopo aver giurato fedeltà allo Stato che lo inviava a proteggere i cittadini, lui avesse fatto finta di niente e avrebbe permesso qui a S. Luca di far prevalere la violenza, la sopraffazione, l’ingiustizia? Ecco perché noi lo ricordiamo, ed ecco perché con questo ricordo la società lo addita a modello di comportamento a tutti, soprattutto ai giovani e ai ragazzi. Come non è stato inutile il sacrificio di S. Giovanni Battista, la cui figura la Chiesa addita come modello di coerenza di vita e di fedeltà a Dio e alla sua legge, di fedeltà ad una missione ricevuta. Analizzando l’episodio di Davide e Golia, voglio rispondere ad altre domande, che circolano tra di noi. La prima e più importante è questa: riusciremo noi a sconfiggere la ‘ndrangheta e in genere la criminalità organizzata? Chi deve lottare contro la mafia? Non è sufficiente che i cittadini osservino le leggi e poi si facciano gli affari propri? Si dice che a combattere la ‘ndrangheta devono essere le forze dell’ordine. Se analizziamo la lotta di Davide e Golia possiamo trarre grandi insegnamenti e rispondere a queste domande. Davide si offre di andare a combattere da solo contro il gigante, nel contesto di una situazione di resa del popolo. Ricordate l’episodio biblico. Tra i filistei e gli israeliti c’era guerra continua, con morti da entrambi le parti. Golia era un filisteo forte, possente, gigantesco. Fece la proposta: un combattimento a due tra lui e un giudeo, il più forte; chi avrebbe vinto avrebbe reso schiavo l’altro popolo. Possiamo vedere in ciò la guerra dello Stato, cioè di tutti noi, contro la criminalità organizzata, che sembra non finisca mai, nella quale lo Stato sembra essere perdente. E questo non è vero, perché a mano a mano che si va avanti la lotta si perfeziona e lo Stato, anche se ci vuole tempo, arriva ad arrestare, a processare e a punire, a confiscare i beni ecc. Quindi, anche noi dobbiamo avere fiducia che il cancro della ‘ndrangheta verrà estirpato prima o poi. Dobbiamo crederci, dobbiamo sperare, dobbiamo collaborare in questo, facendo ciò che ci compete, come vi dirò. Noi cristiani, poi, dobbiamo anche pregare Dio perché ci aiuti a sconfiggere questo male, che tante lacrime ha provocato, tanto sangue ha fatto versare, anche qui a S. Luca. La disponibilità di Davide, che si offre per andare a combattere, è segno di quella generosità e responsabilità, che dovrebbe caratterizzare ciascuno di noi, nessuno escluso. Tutti dobbiamo sentirci impegnati in questa lotta contro la criminalità organizzata. Tutti dobbiamo saper rischiare qualcosa, per il bene di tutti. Davide l’ha fatto. Ha confidato nel Signore ed ha vinto. E’ quanto dobbiamo fare anche noi. Ancora una domanda. Ma quale contributo possiamo dare noi a questa lotta dura e difficile? Anzitutto ci dobbiamo convincere che la ’ndrangheta è un male, terribile e sanguinario, che va contro gli interessi del popolo, contro il suo sviluppo, contro la sua crescita. Dobbiamo educarci alla legalità e al rispetto del bene comune e delle istituzioni. Dobbiamo costruirci la vita con il nostro lavoro, mai sfruttando con tangenti, estorsioni, usura il lavoro degli altri. Dobbiamo imparare a rispettare la nostra vita e quella degli altri e a non farci mai giustizia da noi stessi. Dobbiamo vincere la paura della ‘ndrangheta e imparare a denunciare gli eventuali atti contro di noi. Ecco, adesso sono presenti in Chiesa tante espressioni della società: c’è il Vescovo che rappresenta la Chiesa che forma le coscienze; ci sono le forze dell’Ordine che devono reprimere il male e garantirci la sicurezza della vita; ci sono i rappresentanti della magistratura che giudicano e danno la giusta punizione; c’è la scuola che deve educare alla legalità; ci sono i componenti della società civile, che devono garantirci il bene comune; ci sono i fedeli che rappresentano le famiglie che devono vigilare sulla vita dei propri figli. Tutti dobbiamo lavorare in modo congiunto per questo scopo: sconfiggere la ‘ndrangheta. Ognuno però al suo posto, secondo le proprie competenze, senza aspettarsi che gli altri facciano ciò che non è di loro competenza, guardando e giudicando all’interno della propria realtà, senza guardare e giudicare quanto gli altri dovrebbero fare. Lasciate, a questo punto, che aggiunga: la si smetta di mettere sotto processo sempre ed unicamente la Chiesa per quello che non avrebbe fatto. Un esame di coscienza sul modo come nel passato ci si è comportati nei confronti della ‘ndrangheta è bene che lo facciano tutte le componenti della Stato e della società civile: tutti abbiamo di che pentirci e da cui convertirci. La si smetta poi di dettare i comportamenti alla Chiesa su come pastoralmente si debba muovere, se deve perdonare, come e quando, se deve negare sacramenti o darli; e a gettare fango su di essa se non si muove secondo le vedute personali. Su questi aspetti l’attenzione della Chiesa è molto vigile, più di quanto si pensi. Ciascuno pensi, invece, a come l’istituzione di appartenenza si debba muovere; e ciò gioverebbe di più alla soluzione del problema. Un ultimo rilievo ancora su queste letture in relazione al problema che ricordiamo e al fatto che commemoriamo. A determinare l’uccisione di S. Giovanni è stata una donna, che ha istigato Erode a compiere tale gesto. Voglio rivolgermi a tutte le donne, ricordando quanto ho detto altre volte. Voi avete in mano la famiglia, avete una grande forza perché esercitate un ruolo importante nei confronti dei vostri uomini: siano essi mariti, padri, fratelli, figli. Siate sagge e forti: non spingete al male; non siate istigatrici di vendette; proteggete i vostri figli dalle contaminazioni con il male; vigilate sulla loro libertà. E, come ripeto sempre ai fidanzati al termine del corso di preparazione al matrimonio, quando vi accorgete che arrivano a casa soldi di dubbia provenienza, rifiutateli, strappateli in faccia ai vostri uomini. Con quei soldi voi comprate la vostra infelicità e quella dei vostri uomini. Quando poi succede l’irreparabile e si aprono le porte del carcere e giovani vite vengono distrutte per sempre, le lacrime non servono più, bisognava pensarci prima. Affidiamo a Dio l’anima del brigadiere Tripodi; siamo solidali ancora una volta con la sua famiglia e ringraziamola per aver dato alla società questo eroe. Preghiamo Dio per l’arma dei carabinieri e per tutti coloro che sacrificano la loro vita per sconfiggere il male della ‘ndrangheta. Preghiamo per tutti noi, perché siamo cittadini sempre onesti e perché il Signore ci conceda di vedere risolto questo problema e vivere nella serenità e nella pace».
(foto e servizio di Enzo Lacopo)