Sono tutti a casa senza la benché minima speranza di potere anch’essi avere un incarico di tal genere se non uno spezzone di nove ore, o in alternativa un sottomultiplo di sei o tre ore da potere eventualmente unire con altre ore e formare un qualcosa che possa consentire di arrivare almeno a metà delle diciotto ore previste o, forse ma non è detto, qualcosa in più; insomma, essi continuano a brancolare nel buio dopo avere servito le scuole delle cinque province calabresi per dieci, quindici, vent’anni o anche di più senza potere vedere la luce di uno straccio di stabilità.
di Antonio Baldari
Hanno tra i 50 ed i 60 anni e sono praticamente fuori dal mondo del lavoro dopo anni e anni di servizio: chi sono? Ma certo, proprio loro, sono i “precari storici” della scuola che particolarmente al Sud, nello specifico in Calabria, sono quasi del tutto senza speranza, come del resto è stato sentenziato dal primo bollettino di convocazione del decorso 30 agosto con cui sono state le rese note le sedi per coloro i quali ne avevano diritto: tra di loro pochissimi dei precari di sempre a potere usufruire della possibilità di un incarico fino al termine delle attività didattiche, ossia al 30 giugno, o annuale, al 31 di agosto.
Per il resto sono tutti a casa, senza la benché minima speranza di potere anch’essi avere un incarico di tal genere se non uno spezzone di nove ore, o in alternativa un sottomultiplo di sei o tre ore da potere eventualmente unire con altre ore e formare un qualcosa che possa consentire di arrivare almeno a metà delle diciotto ore previste o, forse ma non è detto, qualcosa in più; insomma, essi continuano a brancolare nel buio dopo avere servito le scuole delle cinque province calabresi per dieci, quindici, vent’anni o anche di più senza potere vedere la luce di uno straccio di stabilità.
Anzi, se proprio si vuole andare fino in fondo, gli altrimenti detti “precari della scuola” dovranno pure rimboccarsi le maniche per guadagnare qualcosina, non potendolo evidentemente fare con il loro ex datore di lavoro, considerando che entro e non oltre il 31 dicembre 2024 dovranno conseguire la cosiddetta “abilitazione” su posto comune, e dunque sulla propria disciplina, elemento sui generis e del tutto unico visto che in Europa non v’è traccia di tutto ciò, esercitando con il solo titolo di laurea, com’è giusto che sia, ma il mercato del lavoro e degli eurini, in Italia, è in pieno fermento, non conosce sosta o soluzione di discontinuità ed ecco, dopo dieci anni, il governo centrale romano che ha “fatto la grazia” di riaprire questi termini.
Non che il percorso poi finisca, tutt’altro! Ci sarà il concorso, denominato “straordinario ter” per aggiungere un altro mattoncino alla casa dei desideri professionali afferente alla scuola, e, dulcis in fundo, “l’anno di prova”, la vergogna delle vergogne per chi esercita da minimo dieci massimo vent’anni, se non più, nelle scuole dello Stivale, ad attestare, finalmente!, che sei veramente idoneo alla docenza. E dunque ad insegnare; frattanto, si attende con ansia crescente l’anzidetto secondo bollettino di convocazione e, a seguire, fino a giorno 14 – giorno di apertura del nuovo anno scolastico 2023.2024 – dopodiché saranno i singoli istituti, con le proprie graduatorie interne, a coprire eventuali carenze di docenti assenti o figuranti in altra posizione che necessiterà un’ulteriore convocazione.