di Gianluca Albanese
LOCRI – Nel giorno in cui l’ennesimo cambio di rotta della filiera composta da Comitato Tecnico Scientifico, Ministero della Salute e struttura Commissariale per l’emergenza Covid getta nell’incertezza quasi un milione di italiani sotto i 60 anni, che hanno già ricevuto la prima dose di vaccino prodotto da AstraZeneca, un lume di ragionevolezza e chiarezza arriva da un medico di medicina generale che crede nella vaccinazione come misura di prevenzione e la pratica da decenni.
Ovviamente, si tratta del medico locrese Nicola Rulli al quale abbiamo chiesto di illustrarci quella che è, a suo modo di vedere, la condotta da tenere, dopo il decreto che vieta la somministrazione della seconda dose di vaccino AstraZeneca ai soggetti di età inferiore ai 60 anni, oltre a vietarne l’inoculazione anche per gli under 60 che non hanno ancora ricevuto la prima dose.
“Al momento – spiega il dottore Rulli – non ci sono evidenze scientifiche tali da dimostrare un effetto di continuità tra la prima dose di vaccino AntiCovid di AstraZeneca e la seconda dose di Pfizer o Moderna. Pertanto, suggerisco a un soggetto che ha già ricevuto una prima dose di AstraZeneca un paio di mesi fa, di compiere uno screening sul livello di anticorpi nell’organismo: se questo risulta alto, può tranquillamente rinviare di qualche settimana l’inoculazione della seconda dose di vaccino (Pfizer o Moderna). Se invece – prosegue Rulli – il livello di anticorpi dovesse risultare basso, è opportuno iniettare una dose di vaccino anche diverso dal primo. Bisogna ragionare per obiettivi – chiarisce il medico locrese – e non farsi trascinare dalla rigidità della data di prenotazione della seconda dose già assegnata in fase in inoculazione della prima. Il vaccino è e rimane un atto medico, e non una formalità necessaria a ottenere il tanto auspicato Green pass: quest’ultimo, infatti, può essere rilasciato anche sulla scorta di analisi del sangue che testimoniano il raggiungimento di un buon livello d’immunizzazione”.
Dunque, se un soggetto sotto i sessant’anni ha avuto somministrata una prima dose di vaccino AstraZeneca a metà maggio, ed è prenotato per la seconda dose (che per decreto non può più essere AstraZeneca ma sarà Pfizer o Moderna) a metà luglio, può verificare il proprio livello di immunizzazione con delle analisi del sangue e, in caso di alto livello di anticorpi, rinviare a settembre l’inoculazione della seconda dose.
Un chiarimento necessario, questo, in una fase in cui è aumentata la confusione tra i cittadini dopo l’altalena di indicazioni legate al vaccino AstraZeneca, che da siero per gli over 60 era diventato adatto a tutte le età per poi, dopo i tragici fatti di cronaca di questi giorni, tornare a essere vietato alle persone di età inferiore ai 60 anni.
Una ripartizione per classi anagrafiche, quella in vigore, sulla quale il dottore Rulli manifesta parecchie perplessità.
“Il vero problema – dice – non è l’età di chi riceve la dose, ma l’evidente deficit del sistema in vigore con l’attuale campagna di vaccinazione che non prevede meccanismi efficaci di intercettazione dei soggetti a rischio: non possono bastare le schede che vengono compilate negli hub prima della somministrazione della dose. Il medico di medicina generale che conosce il paziente sa quali sono i disturbi di cui soffre e valuta se è il caso di rinviare (o addirittura) sconsigliare l’inoculazione. Nell’attuale sistema, invece, vediamo che gli anziani, in linea di principio, non hanno remore a dichiarare le proprie malattie, al contrario dei giovani che spesso non sono consapevoli di avere dei disturbi che poi possono dare molto fastidio”.
Dunque, non è tanto l’età il parametro da applicare quanto i fattori di rischio del singolo da studiare prima di inoculare il vaccino. E chi meglio dei medici di medicina generale può conoscere le condizioni del paziente prima di somministrare la dose?