di Gianluca Albanese
LOCRI – «Prima del 2000 le cosche di Africo intendevano compiere un attentato ai danni dei magistrati antimafia reggini, e per questo chiesero il permesso alla “Provincia”, ovvero la struttura apicale della ‘ndrangheta che comprende i tre mandamenti (Reggio centro, ionica e tirrenica) ma questa disse di no perché le regole dell’organizzazione impedivano di compiere delitti contro magistrati e forze dell’ordine». E’ forse la rivelazione più forte del collaboratore di giustizia Paolo Iannò resa durante l’udienza odierna del processo “Crimine”.
L’ex capo locale di Gallico, che nel 2000 scelse di dissociarsi e iniziare un percorso di collaborazione con la Giustizia, collegato in videoconferenza da una località segreta, ha parlato a lungo, spiegando dettagliatamente tutti i gradi gerarchici della ‘ndrangheta, le regole e le forme di radicamento nel territorio. Ha altresì ammesso che dopo la mia decisione di collaborare venne chiuso il “locale” di Gallico di cui sono stato a capo e le regole stesse imporrebbero che per la sua riapertura io dovrei essere ucciso dai miei stessi parenti, perchè uno che aveva lo “sgarro” poteva uscire dalla ‘ndrangheta solo con la morte».
L’altro collaboratore di giustizia Consolato Villani, oltre a ripercorrere i tempi in cui si affermava la leadership di figure apicali nella ‘ndrangheta reggina come Pasquale Condello detto “il supremo” e il suo braccio destro Nino Lo Giudice detto “il nano” col primo che impose la pax mafiosa a Reggio nonostante il parere contrario del suo fedelissimo, ha affermato che «’ndrangheta, politica e massoneria camminano assieme».
L’udienza è stata aggiornata a lunedì 20, mentre il 27 deporrà l’altro collaboratore di giustizia Giuseppe Costa.
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