Di Emanuela Alvaro
SIDERNO – Ospitato nella sala delle adunanze del Comune, il Rotary Club di Reggio Calabria, presieduto da Vincenzo Papalia, si è confrontato su quello che potrebbe essere il futuro di Reggio Calabria e di tutta la provincia: la Città Metropolitana. Moderato dal giornalista Giampaolo Latella, il convegno ha dato il senso di quanto il tempo sia poco, anzi pochissimo per poter programmare con coerenza e bene quello che dovrà predisporsi e non solo in fretta, come invece alla fine succederà.
Dopo l’introduzione all’argomento di Vincenzo Papalia e del presidente della commissione Città Metropolitana del club, Giuseppe Bova, i saluti di Luciano Lucania, governatore designato del Distretto 2010 e del padrone di casa, il sindaco Pietro Fuda, il quale ha focalizzato l’attenzione su questo “futuro” che patisce la disattenzione atavica che ha caratterizzato il passato e il presente del meridione e nasce istituzionalmente debole, in considerazione del fatto che gli organismi così come sono stati previsti sono di secondo livello e, per questo, non hanno la forza di dare direttive. “Altro problema – ha spiegato Fuda – la questione dello sviluppo economico. Senza avere risorse finanziarie la Città Metropolitana come potrà sviluppare il territorio? Se l’Area Metropolitana deve vivere i ritardi della Regione non andremo da nessuna parte. Se riusciamo a costruire questo percorso ed apportare le giuste modifiche tanto si potrà fare”.
Con la lectio magistralis del senatore Nico D’Ascola ci si è soffermati sulla questione dello scioglimenti dei consigli comunali, primato negativo della Locride e di come questo potrebbe creare difficoltà nella gestione del post provincia.
Ma l’argomento “Città Metropolitana” è stato mirabilmente sviscerato dalla professoressa, Francesca Moraci, docente di Pianificazione territoriale dell’Università Mediterranea di Reggio. La professoressa ha focalizzato l’attenzione su: “Sperimentare il futuro della città – la Città metropolitana: da riforma costituzionale al new deal urbano del 2050”.
Un processo di comunicazione e conoscenza che, secondo lei, è inevitabilmente contrapposta alla superficialità diffusa. “Il banco di prova della Città Metropolitana è di cinque anni fa, ma agli effetti pratici ancora nulla. E noi – ha spiegato la professoressa Moraci – nel frattempo ci troviamo in un grande dibattito aperto in cui il Mondo è andato oltre e, di fatto, della Città Metropolitana non è più interessato perché ancora non ha prodotto nulla. La disattenzione di cui parlava il sindaco Fuda io la condivido perché questo ha portato ad assenza di responsabilità e assenza di reputazione territoriale”.
Secondo la professoressa Moraci, per competere come Città Metropolitana, la stessa dovrà avere delle caratteristiche ben precise. “Il nostro è un errore madornale, dal quale non ci riprenderemo più, noi siamo già fuori tempo e quindi su cosa puntiamo per riprenderci? E quale può essere l’impatto delle riforme con tutte le modifiche necessarie ancora da fare? E ancora cosa succede a quelle zone che non rientrano nella Città Metropolitana, senza alcuna specifica su quali sono i rapporti con il resto del territorio? Grandissimo sbaglio nel pensare che faremo in fretta e bene, noi faremo solo in fretta, senza piani e solo con situazioni alle quali rispondere in emergenza, senza comprendere l’assunzione di responsabilità nei confronti del territorio”.
Fondamentale per tutto questo lo statuto da cui partire per comprendere nello specifico gli equilibri all’interno dell’Area Metropolitana. “Tutto questo senza sottovalutare – ha continuato – gli aspetti territoriali urbanistici e gestionali da sviluppare, con infrastrutture valide per rendere vivibile il territorio stesso, dove le battaglie di fiscalità sono fondamentali. Ma noi non riusciamo a spendere neanche i soldi che abbiamo a disposizione, figuriamoci fare questo passaggio. Non è pensabile che le leggi di derivazione europea sono applicabili in tutte le Nazioni e in Italia no. E se tutto questo non fosse abbastanza continuiamo ad assistere alle forti resistenze delle radicate classi dirigenti che non vogliono perdere il proprio ruolo”.