Oltremodo stranamente la macchina burocratica si è inceppata e quei 4 milioni di euro che sfamerebbero parecchi padri di famiglia a spasso, lavorandoci, e soprattutto permetterebbero di aggiustare l’edificio scolastico nuovamente tirato a lucido, sono ancor’oggi carta di marmo, nel senso più stretto del termine, giacché fredda, immobile, di ghiaccio. E nessuno che provi a renderla più elastica, più viva come meriterebbe quel progetto di ristrutturazione rimanente inevaso, rendendo più viva la stessa Siderno. Che tace. Non parla. Non dice, mentre altrove ci si sta facendo a pezzi per difendere l’autonomia della propria scuola.
di Antonio Baldari
Sul lato sinistro la scritta nominativa dell’istituto apposta sul marmo si legge a stento, e comunque è incompleta. L’incuria del tempo, e soprattutto dell’uomo, ne stanno via via cancellando l’appellativo, fra erbacce cresciute a dismisura qua e là; gli infissi che si stanno facendo avvinghiare sempre più dalla ruggine e quello striscione, in parte strappato, che ne incornicia il declino: in estrema sintesi lo stato di salute del plesso scolastico “Alvaro” di Siderno, area metropolitana di Reggio Calabria, è tutto qui, in questi pochi flash.
Che dànno il senso del vuoto ed anche e soprattutto l’inenarrabile tristezza in chi, in special modo, ci ha insegnato per poco o tanto tempo; qui, infatti, ci sono passate intere generazioni di studenti e studentesse della cittadina più popolosa dell’ex provincia reggina con docenti, dirigenti scolastici, e personale parascolastico e di segreteria che le hanno accompagnate nella loro crescita professionale e umana, con parecchia storia illustre che è passata sopra quei banchi e che a loro volta hanno consegnato notevole lustro all’urbe sidernese, e per esteso del comprensorio locrideo e regionale.
Non è dato sapere se il celebre scrittore originario di San Luca si sia rivoltato nella tomba stante questo scempio, al cui cospetto inorridirebbe anche l’altro gigante della letteratura italiana a cui è intitolata la scuola, quel Giovanni Pascoli che piangerebbe lacrime amare, molto amare insieme al suo “fanciullino” per quei dorati/e fanciulli e fanciulle di Siderno sbatacchiati/e, oggi, a destra e a manca perché oltremodo stranamente la macchina burocratica si è inceppata e quei 4 milioni di euro che sfamerebbero parecchi padri di famiglia a spasso, lavorandoci, e soprattutto permetterebbero di aggiustare l’edificio scolastico nuovamente tirato a lucido, sono ancor’oggi carta di marmo, nel senso più stretto del termine, giacché fredda, immobile, di ghiaccio.
E nessuno che provi a renderla più elastica, più viva come meriterebbe quel progetto di ristrutturazione rimanente inevaso, rendendo più viva la stessa Siderno. Che tace. Non parla. Non dice, mentre altrove ci si sta facendo a pezzi per difendere l’autonomia della propria scuola, con docenti, alunni, famiglie e chi più ne ha più ne metta di caciaroni, che pretendono di non vedersi sfuggire dove si sono formati i propri figli; qui no, qui tutto giace nel silenzio più assordante quando, magari, per la sagra paesana o chissà per quale altro, stravagante, appuntamento ludico ci si strappa i capelli e si mandano infervorati improperi a destra e a manca. Per la scuola, per la “Alvaro”, il nulla, quasi che desse fastidio il volere mettere tutto in primo piano, il voler sbattere sul muso delle autorità competenti che noi non si vuole perdere quella scuola, che invece la si vuol far morire, d’eutanasia, piano piano, lentamente, con una sottile regia mangiafuochina che muove i fili del nulla perché nulla accada.
Nulla sia per la “Alvaro” al punto da far impallidire la stessa, celeberrima, frase dello scrittore aspromontano in ossequio alla quale “La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile”.
Pallida come una rosa tea questa frase, come quel colore che, col passare dei giorni, si sta impadronendo di quei pochi “aficionados” della “Alvaro” che credono in quella scuola e nella Scuola come istituzione; che credono soprattutto nel futuro dei propri ragazzi e ragazze, assolutamente defraudati/e nel fior fiore dei propri anni e della loro crescita naturale, che tanto naturale, così, non è. Perché, prescindendo dalle responsabilità oggettive di chi non fa partire quei, strabenedetti, lavori qui c’è una società che non si muove; c’è un Comune in piena catalessi, dalle istituzioni più alte alla massaia di turno. Nulla che si sposti un millimetro più in là muovendo, e semmai risolvendo, la brutta storia della “Alvaro”.
Che rimane lì, inerme, quasi al limite dell’elettroencefalogramma piatto, nel proprio giaciglio, attendendo il trapasso all’altro mondo degli archivi e di ciò che fu. Senza che nessuno abbia inteso muoversi per rianamarla. Morta nel “silenzio colposo” della sua gente, morta di indifferenza. Si dispensa dalle visite, grazie!