di Antonella Scabellone
SIDERNO- Ci sono persone che ricoprono un ruolo che, nell’immaginario collettivo, rimarra’ per sempre. Mario, all’anagrafe Bruno Meleca, era e rimarrà il sacrestano di Siderno. Un sacrestano nel vero senso della parola, una vita, la sua, dedicata interamente alla Chiesa e alla Comunità parrocchiale. Nel pomeriggio, alle 16, i funerali a Maria SS di Portosalvo.
In tanti oggi lo piangono, ricordandolo con affetto. Perchè la grandezza di una persona, quella che la fa entrare nel cuore della gente, non sta nell’essere bella, colta, nobile, ricca, ma nella laboriosità e nell’impegno che ogni giorno mette per contribuire, nel proprio piccolo, al bene comune.
Originario di Siderno Superiore Mario, fin da piccolo, serviva la messa come chirichetto nella Chiesa di San Carlo Borromeo. Non pensava certo, però, di fare il sacrestano per mestiere quando, ancora ragazzetto, frequentava da apprendista un salone di parrucchiere. Tutti i giorni, però, scendendo dal borgo alla marina, prima di andare a lavorare, passava in Chiesa ad ascoltare la messa. La fede, da sempre, è stata una colonna portante della sua vita.
Ci aiuta a ricostruire la sua storia, che in pochi conoscono veramente data la sua grande riservatezza, l’Avv.Vincenzo Bruzzese con cui Mario ha condiviso molti anni di vita parrocchiale.
“Quando, tanti anni fa, andò in pensione il vecchio sacrestano di Portosalvo, l’allora parroco, don Antonino Incognito, che vedeva Mario tutti giorni a messa, lo cerco’ nel salone di parrucchiere dove lavorava e gli chiese di dargli una mano in chiesa; era una settimana molto impegnativa, per via delle funzioni liturgiche di Pasqua. Da li è iniziata l’avventura. la nuova vita di Mario. Un servizio durato piu di 50 anni, durante i quali ha contribuito alla custodia, alla cura e al decoro della Chiesa di Portosalvo, dandole supporto anche economico, animato dalla grandissima devozione per la Madonna e dal suo amore incondizionato verso la Parrocchia”.
Regolarmente assunto come sacrestano, Mario si tratteneva in Chiesa sempre, da volontario, oltre l’ orario lavoro. Cosi lo stesso avvenne dopo il pensionamento. Era una presenza costante in parrocchia, c’era sempre quando qualcuno lo cercava.
E’ stato Sacrestano di tre parroci: Don Antonino Incognito, Padre Giovanni Musolino e Don Cornelio Femia. Negli ultimi anni, avendo bisogno di assistenza a causa dei problemi di salute, si era ritirato presso la Casa riposo Sant Antonio di Siderno dove si era perfettamente ambientato e dove aveva festeggiato di recente gli 80 anni. Continuava comunque a frequentare la Chiesa la domenica e durante le festività, accompagnato e aiutato negli spostamenti dagli amici della parrocchia che, cosi facendo, gli hanno permesso, fino all’ultimo, di espletare il suo incarico.
Mario era una sorta di memoria storica di Siderno, conosceva le vicende di quasi tutte famiglie e famose erano le orazioni dialettali antiche che rispolverava nelle ricorrenze più importanti: Pasqua, Natale, Festa Patronale. “Soprattutto nella settimana di Pasqua-ricorda Vincenzo Bruzzese- affascinava noi ragazzi con i suoi aneddoti tirando fuori tutto il suo sapere”.
La sua famiglia era la Parrocchia. Nonostante avesse una madre e delle sorelle difficilmente passava le festività con loro, perchè quei giorni coincidevano con le feste religiose e gli impegni liturgici e c’era bisogno di Lui in Chiesa. Ma non gli pesava, lo faceva con piacere, perchè la sua Festa era stare in Chiesa, vedere la gente che partecipava alle funzioni, passare tra i banchi e salutare tutti soprattutto al momento della questua.
“Vogliamo pensarlo inginocchiato ai piedi della Madonna-conclude l’avv. Bruzzese- mentre la contempla, senza veli e senza immaginazione, faccia a faccia, raccontandole uno dei suoi aneddoti dialettali per esprimerle tutto l’ amore e la devozione che hanno accompagnato sua vita”.
Di seguito il testo di una orazione dialettale che Mario Meleca recitava sempre nei giorni del Triduo di Pasqua
La matìna du’ giovedì santu
la Matri di Ddiu si misi lu mantu,
si lu misi di grandi doluri
ca perdìu nostru Signuri.
La ‘ttuffau Sant’Andrìa:
“Aundi jiti, Matri Maria?”
“Vaju a trovare a chillu Figghju,
ch’era bellu cchjù i ‘nu gigliu!”
“Vajiti a li porti di Pilatu
ca u trovati fracellatu.”
“Figghju, Figghju làprimi ‘ssi porti!”
“Mamma, mamma non li pozzu laprìri, ca sugnu ligàtu di mani e di pedi.”
“Vajiti a lu mastru forgiarèglju mu vi faci ddu’ chjova suttili,
ca nd’hannu a passàri la carni gentili.”
Rispundi lu gran cani ch’era gljani:
“Facìti mu fannu ddu’chjova affilati, ca nd’hannu a passàri la carni a li cani.”
Quandu a Madonna ntisi ‘sta novella,
catti tri boti c’a facci glja ‘nterra.
Si scura lu suli….
Si scura la luna….
Si scura la facci di Maria
ch’era cchjù bella!!!