di Simona Masciaga
SIRACUSA – Tragedia spettacolare.
Potrebbe sembrare un ossimoro definire una tragedia spettacolare ma lo vogliamo usare per catalogare la Medea che sta spopolando,da sold out, per l’intera stagione siracusana.
Tra lo sbalordito e trasognato, in una scenografia volutamente spartana per dare spazio e voce agli artisti, Medea (Laura Marinoni) entra in scena dal fondo dell’ orchestra,dopo che, la nutrice( come fosse un aedo), abbia raccontato la sua storia.
Figlia del Sole, pertanto dotata di poteri alchemici e magia, Medea per seguire Giasone, lascia la Colchide e arriva a Corinto come sposa dello stesso Giasone al cui da figli e onore.
Giasone, per sete di potere, per ambizione e per attrazione fisica, dopo anni, sposa, in segreto Glauce, figlia del re Creonte,il quale, Creonte, condanna Medea all’esilio ingiustamente per timore che i figli della stessa potrebbero rivendicare, col tempo, il trono.
Da qui il dramma interiore e soprattutto femminile fatto di gelosia, ripudio, mortificazioni e sete di vendetta, da cui prende piede l intera tragedia: Medea appare dal fondo avvolta in un mantello piumato blu pervinca con in capo la testa di un rapace in segno di vendetta e avidità che subito elimina attraverso un monologo sconvolgente,pieno di rabbia, sdegno, soprusi intellettivi e morali; una violenza psicologica che deve intimamente sopportare, ma Medea, distrutta, interiormente pianifica una crudele vendetta.
Entrano i figli mascherati da ingenui e timidi conigli, la nostra “eroina”, urlando e piangendo sussurra, quasi a mezza voce:”Maledetti figli di una madre sciagurata, vi auguro di morire insieme a vostro padre”.
Qui la Medea barbara che sa essere serva e padrona, dominante sia sulla scena che nell’ interpretazione, ottiene un giorno, un solo giorno da Creonte, poi il nulla, l’esilio già programmato in Atene con Egeo e il resto già nella sua mente orchestrato.
Incontra il marito Giasone e per ben sei volte, contravvenendo alla scrittura classica( trascrizione di Massimo Fusillo) urla “Bastardo”, suscitando un applauso infinito dalle donne presenti in cavea (e non solo), modernità e attualità.
Medea minimizza la risoluzione al suo dramma sicuramente da noi ritenuto estremo, irragionevole e disumano.
Un appunto sulle maschere di coccodrillo indossate da Creonte( Roberto Latini) che andrebbero sicuramente riviste: un topos di crudeltà e determinazione che poi si scioglie in lacrime? Avremmo visto meglio una iena o uno sciacallo!
Sicuramente il perfetto connubio tra Tiezzi e Fusillo ha giocato il suo ruolo perfettamente funzionante e comunicativo: ciò spinge il pubblico verso un simbolismo tipicamente freudiano che ancora al dramma di Ibsen e approda sicuramente al nostro Pasolini in un perfetto equilibrio tra classico e attuale, tra giambico, onirico ma sicuramente ostico nella risoluzione.
Perfetto cromatismo tra abiti di Giovanna Buzzi e la scenografia, se pur sterile ma significativa, di Marco Rossi dove il pavimento specchio diviene l’ inconscio, sogno o realtà di ciò che si vorrebbe svelare, manifestare o semplicemente desiderio.
Un appunto di lode va sicuramente al coro delle Voci bianche e orchestra di Roma del teatro dell’Opera e ovviamente a Silvia Colasanti per le scelte musicali e alla maestra del coro, Francesca Della Monaca.
Una polifonia estremamente emotiva dall’inizio alla fine di elevato effetto estetico ed emotivo. Si parte con un coro in aramaico, forse teologicamente a sottolineare il sacrificio cristiano di Gesù, figlio di Dio?
Francamente ci sembra empio ma certamente di grande effetto.
Gli altri cori molto scenografici ma, la nostra cultura linguistica ha un limite, pur sapendo che sono stati eseguiti in havaiano e altro, non ne abbiamo colto il significato e li abbiamo attribuiti alla figura barbara di Medea, però conoscendo il tedesco e cultori di musica classica, siamo riusciti a risalire e riconoscere il Kindertotenlieder di Mahler, Canto dei bambini morti su poesie di Friedrich Ruckert, composto dallo stesso Mahler in occasione della morte della figlia Maria e, il quale disse che se non avesse vissuto intimamente tale dolore, mai avrebbe potuto scrivere un brano così straziante.