di Maria Antonella Gozzi
“Spesso i ricordi del tempo passato mi invadono con l’aspetto di pensieri apparentemente sconnessi, mi invadono in un fluttuare di immagini, suoni e colori e sensazioni struggenti”.
Inizia così l’«eterno» racconto di una giovane donna, per sempre bambina. Sono parole e frasi di un tempo perduto che si riappropriano del presente costringendolo a reinventarsi quelle di Rosa: la protagonista dell’ultimo racconto scritto da Filomena Drago, psicologa e psicoterapeuta e attenta lettrice dell’animo umano.
La Drago, già autrice di racconti al femminile, come «Viola» e «Diario da una finestra sul mare», nonché di una raccolta di fiabe che narrano i luoghi dell’infanzia e delle emozioni vissute, dal titolo “La collina incantata”, continua il suo incessante cammino verso la ricerca dell’istinto primordiale che ammanta di bellezza e forza ogni donna con “Sono sbagliata”, il suo ultimo libro edito da Pellegrini.
Nella sua ultima opera, l’autrice raccoglie i «pezzi» di un’altra giovane paziente, l’ennesima creatura violata nel corpo e nell’anima dal suo “LUI”.
Il racconto è costituito da due parti: la prima, divisa in 19 capitoli, è costruita sulla base del dialogo tra una psicoterapeuta e la sua paziente; la seconda è affidata, invece alla fantasia della protagonista, impegnata nella scrittura de “Una storia autentica tra fiaba e realtà”, la sua storia.
Questo libro arriva sulla mia scrivania poco tempo prima della giornata contro la violenza sulle donne, un rituale ormai “stanco”, vinto com’è dall’ urgenza di trovare soluzioni in grado di arginare un fenomeno diffuso e paralizzante. Uno scritto intenso che fa riflettere sulla necessità di aprire un varco tra istituzioni e cittadini, un ponte stabile e definitivo che sappia accogliere senza giudizio ogni richiesta di aiuto da parte delle donne.
Ed è così che ROSA, la protagonista di questa storia, diventa il simbolo di tutte le donne cui è stata sottratta la capacità di autodeterminarsi. Il meccanismo, ed è questa la cosa che più spaventa, si innesca già in giovane età, quando le bambine sono “soltanto” un fiore da coltivare con amore, da guidare, sì, ma nella ricerca del proprio autentico sentire e non verso un sentiero già tracciato da altri.
Frasi come “sei solo una ragazza”, “tu non puoi capire” arrivano silenti come lance affilate e dolorose e il dolore è più forte quando, come nel caso di Rosa e di mille altre donne, provengono da chi è chiamato a svolgere un ruolo di “cura” della bambina prima e della ragazza poi. E mi domando: come è possibile che una donna, lasciando una bambina insicura dietro sé, possa davvero scegliere l’uomo con il quale condividere la sua storia? Mi rispondo che non è possibile e questo appare sempre più evidente a ogni frase del libro letta, a ogni pagina sfogliata.
La dottoressa Drago ha convogliato la sua esperienza di anni in un’opera chiara e pulita, che mette a nudo le fragilità del “sistema” famiglia, spesso inconsapevolmente concausa, se non causa unica, delle fragilità dei propri figli.
Rosa è in lotta con sé stessa perché il messaggio “Sei sbagliata” è stato veicolato fin dalla sua tenera età da uno stupidissimo retaggio culturale che relega le donne ad appendice della società maschile, incapaci di decidere.
Il compagno di Rosa, all’inizio, è un Principe azzurro. E’ pronto a darle tutto quello che desidera: protezione, un orizzonte sicuro, una prospettiva lavorativa. E lei ci si rifugia – sì, questo è il termine adatto – perché non conosce un’alternativa, non la cerca neppure perché qualcuno le aveva insegnato a non farlo. Le cose cambiano in seguito, quando la protagonista si svela a sé stessa senza nemmeno sapere come; è troppo difficile tenere sotto controllo l’istinto, le proprie emozioni, le proprie idee. Lo è anche per chi non è stato “istruito” all’ascolto di sé. E per Rosa arriva il momento della ribellione e, con essa, arrivano anche gli insulti e gli schiaffi di Lui.
E’ impotente, crede a tutte le scuse del compagno, accetta per un po’ di sacrificarsi, di autoinfliggersi una condotta in completa disarmonia con la sua natura.
E fallisce. Si, fallisce. Si racconta alla psicoterapeuta, si interroga, si ricostruisce. In fondo è stata molto fortunata: è ancora viva.
In questa narrazione suonano note di speranza per quell’«Unica Rosa» che sola non è, ma che esige spazio e attenzione. E vi è contenuto anche un monito di grande respiro: il cammino della società tutta deve avere un’unica direzione che è la direzione dell’ascolto dei propri figli.