di Antonio Baldari
STILO- Già prima di alzare il sipario le sedie collocate in piazza san Giovanni, ai piedi del palco, non bastavano più a contenere gli spettatori che nel frattempo erano convenuti per la messa in scena di “Don Nicola u Jumbarusu” da parte del gruppo di teatro “Cocynthum” guidato dallo studioso Claudio Stillitano, autore dell’anzidetta commedia in due atti come di consueto proposta il 19 di agosto, consolidando la fulgida tradizione culturale della “Città del Sole”.
Che ha visto salire sul palcoscenico Martina Lioi, Alfredo, Emma e Vincenzo Loiero, Mariapia Simonetti, Enrico e Mattia Stillitano, Giuseppe e Peppe Alessandro Taverniti, Vittoria Tirotta e Nicola Zannino, con le new entriesMatteo Cuomo ed Ismaele Schembri, nei ruoli loro affidati dal sapiente Stillitano rispetto a dei personaggi che sembravano perfettamente “cuciti” loro addosso, partendo dalla famiglia Pomicia con Vanda, Vespertina, Renato ed Alberto Pomicia con Iolanda Capicollo moglie di quest’ultimo; e poi Giacomino e don Nicola Filarino, detto “u Jumbarusu”; donna Concetta a Puliciusa; don Achille nei panni e nella…talare di prete; Luciano l’usuraio; l’avvocato; il maresciallo ed Ercole il bambino.
Storie esilaranti con gags assolutamente da scompisciarsi dalle risate, in special modo per la pressoché ottima padronanza del dialetto, un registro linguistico quasi del tutto nuovo se si pensa che la maggior parte di quei termini, utilizzati da Claudio Stillitano, per la stesura del testo, sono oramai quasi del tutto caduti in disuso o, quantomeno, non sono parte dell’uso corrente della parlata quotidiana dei giovani e/o ragazzi di oggi, come i componenti del gruppo “Cocynthum” un gruppo che è oramai, a tutti gli effetti, una vera e propria “famiglia”.
Un insieme di idee, atteggiamenti e modi di essere che si affinano nel tempo e nello spazio come si è del resto evinto proprio con “Don Nicola u Jumbarusu”, vicende appartenenti ad un vissuto quotidiano che altro poi non sono che quelle vissute giorno dopo giorno, con le vicende personali legate alla cronica mancanza di lavoro e che, per sbarcare il lunario, come si suol dire, si prova a fare di tutto, anche a lavorare per poi vendere mutande, incamerando qualcosa per mantenere la famiglia, cercando di togliersi qualche “lusso” per sé e per i propri figli, magari provando a dare la propria figlia in sposa al ricco del paese, don Nicola per l’appunto, ancorché esteticamente non proprio bello a vedersi in special modo perché interessato da un’evidente protuberanza sulle spalle, il classico “jumbu” che non ne fa proprio un figurino agli occhi altrui.
Al termine scroscianti applausi e consensi sempre crescenti per quest’autentica realtà che sta guadagnando posizioni nella credibilità associativa stilese, in un momento in cui, peraltro, nessuno scommetterebbe un solo centesimo sulla cultura. Che è poi cultura dialettale, di questi luoghi con delle precise identità che meriterebbe senz’altro maggiore attenzione a livello istituzionale più alto.