foto Alcmeone di Crotone fonte dal web
Patrizia Massara Di Nallo
Contro le disonestà che la imbruttiscono, la medicina (dal latino mederi = rimediare) oppone il suo fascino d’ogni epoca e d’ogni ora come l’attività più appassionante e più sublime dello spirito umano, perché il mestiere di medico, oggi come mille anni fa, offre insieme con l’angoscia delle delusioni e delle decisioni solitarie, anche la consolazione degli incontri spirituali quale scuola inarrivabile di dignità e di saggezza.
La questione delle origini della medicina è molto dibattuta e si collega soprattutto alle origini del salasso. Moritz Landsberg (1801-1853), studioso di storia della medicina, giunse alla conclusione che il salasso sarebbe stato introdotto ufficialmente nelle scuole mediche greche da un medico della scuola italica di Crotone.
Le prime scuole si svilupparono quindi nella Magna Grecia, in Sicilia e in Calabria e, tra queste, riveste una grande importanza la scuola pitagorica. Pitagora dall’isola di Samo si spostò a Crotone. Egli portò nella scienza naturale, ancora non definibile medicina, la teoria dei numeri, secondo cui alcuni numeri avevano significati precisi: il sette, per esempio, era legato da calcoli molto discutibili alla durata dei giorni della gravidanza o al periodo di quarantena. Per i pitagorici la vita è costituita da quattro elementi terra, aria, fuoco ed acqua. Le loro combinazioni formano i quattro umori del corpo: sangue (caldo e umido), flegma (freddo e umido), bile gialla (caldo e secco), bile nera o atrabile (freddo e secco) dalla loro combinazione deriva il comportamento dell’uomo, la sua mente e la sua salute.
Dalla sua concezione biologica deriva l’opera di Filolao di Taranto nato a Crotone e di Alcmeone di Crotone medico e naturalista vissuto tra V e il VI secolo a.C. Prima della scuola crotoniate di Alcmeone le terapie consistevano in riti magici, scongiuri e purificazioni. Nel VII-VIsecolo a.C. Alcmeone fu il primo ad avere l’idea che l’uomo fosse un microcosmo costituito dai quattro elementi individuati precedentemente da Talete.
Dall’equilibrio degli elementi, che chiamò isonomia o democrazia, derivava lo stato di salute, mentre lo stato di malattia derivava dalla monarchia ovvero dal prevalere di un elemento sugli altri. Diede origine così al pensiero biologico:l’armonia che regge l’universo regge anche l’uomo, dandogli la salute, mentre il turbamento di quest’armonia provoca la malattia. Usò la musica come terapia in quanto espressione di armonia che può ristabilire l’armonia anche fra gli organi del corpo. Egli scrisse un trattato, Пερί φύσεως, di cui danno notizia Diogene Laerzio e Plutarco e secondo alcuni sarebbe stato il padre dell’anatomia umana e della fisiologia ( gli si attribuisce, tra l’altro, la scoperta della tromba d’Eustachio e dei nervi ottici) e anche fondatore del metodo scientifico della psicologia. Sino ad allora infatti il cervello, osservato solo negli animali sacrificati come una massa gelatinosa e fredda,era considerato di scarso interesse, anche perché il mondo greco era contrario a sezionare il corpo umano.
Alcmeone si rese conto che il cervello doveva essere l’organo che comandava l’organismo e pare si fosse reso conto che i nervi servissero per condurre gli impulsi nervosi, scoperta che però non lasciò traccia nella medicina di allora. Sorsero nell’Italia Meridionale e quindi in tutto il Mediterraneo scuole mediche importanti come quella di Cirene, di Rodi ,di Cnido (fondata da Eurifone e Eurofilo) e di Coo. ”I medici di Crotone sono i primi nel mondo, secondi sono quelli di Cirene”: così scriveva Erodoto, sul finire del VI secolo a.C., nel terzo libro delle Storie al capitolo 131, parlando di quella che certamente fu la migliore scuola medica dell’intero Occidente antico nei secolo VI eV a.C.
La vera e propria medicina razionale vista come negazione dell’intervento divino nelle malattie (anche l’epilessia, famosa malattia sacra, fu finalmente correlata ad una disfunzione dell’organismo) fu attribuita ad Ippocrate (V secolo a.C.). Anch’egli si rifaceva ad Alcmeone di Crotone quando affermava l’esistenza nel corpo umano dei quattro elementi fondamentali (aria, fuoco, terra ed acqua) e che la malattia derivasse dallo squilibrio degli umori per cui le cure dovevano rimuovere l’umore in eccesso.
Democede
Democede. Nacque nall’antica Kroton nel VI secolo a.C. figlio di Callifonte, rinomato medico crotoniate,per i continui attriti col padre lasciò la sua città natia per andare ad esercitare nelle città della Grecia orientale “Democede è medico di professione, il più abile nella sua arte ai suoi tempi” Erodoto ne parla nel terzo libro delle Storie, riconoscendogli un primato medico e una fama che si guadagnò per il suo girovagare. Conosciuto in tutto il mondo antico, fu chiamato alla corte del re Dario di Persia, i cui medici egizi non riuscivano guarire una complicata distorsione alla caviglia. E le cure che gli applicò possono considerarsi antesignane della fisioterapia E guarì anche la moglie del re, Atossa, da un ascesso al petto. Venne per questo nominato medico personale del re Dario. Divenuto ricco, usò uno stratagemma per ritornare nella natìa Crotone, dove già operava Pitagora. Erodoto racconta infatti che, giunto nella città di Kroton, sposò in tutta fretta la figlia del potente Milone per ottenere la liberazione dal re Dario.
Filistone di Locri
Filistione di Locri nato a Locri Epizephyrii nel quarto secolo a.C. Valente medico, appartenente alla scuola dei “Phisiologoi Italioti”, è citato da Galeno nel libro sui “Metodi da curare”.Fu il principale esponente della scuola medica siceliota, esercitando la medicina anche alla corte di Dionisio II di Siracusa. Anche le sue concezioni fisiologiche erano basate sui quattro principi del caldo, freddo, secco e umido, che egli associava ai quattro elementi di Empedocle: fuoco, aria, terra e acqua. Alcuni critici antichi gli attribuirono due trattati di dietetica inseriti nel corpus ippocratico: il De salubri victus ratione e il De victus ratione , scrisse anche un Manuale di cucina e gli si attribuisce l’invenzione di una macchina per ridurre le lussazioni degli arti.
Cassiodoro
Importanza altrettanto fondamentale ebbe, nel Medioevo, l’opera di un altro calabrese. Flavio Magno Aurelio Cassiodoro (490-580 d.C.) nato da una nobile famiglia a Squillace, detta Aquillace.Dopo aver rivestito alla corte di Ravenna le cariche di ministro, prefetto e segretario particolare di Teodorico, re dei Goti, e dei suoi successori, si ritirò dapprima a Roma e a Costantinopoli e in seguito ritornò nella nativa Calabria dove nelle sue tenute fondò il monastero di Vivarium (nel golfo di Squillace a lato del fiume Pellene (attuale Alessi) verso la metà del VI secolo) che si può considerare il primo esempio di università cristiana d’Occcidente e di cui fu abate intorno al 540. Le sue “Istitutiones divinarum et saecularium litterarum”, scritte nel 560 d.C., rispecchiano la cultura dei monaci che durante l’Alto Medioevo curavano i malati nei conventi. Opera enciclopedica tra le più celebri di quel periodo, mira alla conciliazione tra l’eredità della cultura classica letteraria e il messaggio cristiano nella vita religiosa, rappresenta il tipico libro di testo di una scuola monastica. Cassiodoro contribuì in modo decisivo a conservare in Occidente il patrimonio scientifico dei medici classici dando origine a una scuola in cui si insegnavano scienze sacre e profane, basata su una concezione libraria e filologica della cultura.
Inoltre lo studio imposto ai monaci, con la trascrizione e conservazione degli antichi codici della cultura classica perchè fossero salvati dalla distruzione della barbarie di quei secoli, diede un originale ed autonomo indirizzo alla regola benedettina privilegiando in senso intellettuale l’obbligo del lavoro.
I medici-monaci di Vivarium inoltre si dedicavano all’assistenza dei pellegrini infermi che durante il viaggio in terra Santa chiedevano ospitalità al convento. Lì si mettevano a disposizione, per ordinamento di Cassiodoro, strutture mediche, impianti balneari e anche le derrate alimentari prodotte dal convento( frutta, piccioni, pesce, miele e altro). Al pari di Vivarium, molti conventi furono edificati sulle vie battute dai pellegrini, come quello di Murbach nei Vosgi chiamato anch’esso “Vivarium peregrinorum” a ricordo del primo convento calabrese. Da questi conventi ebbero origine i primi ospizi (gli xenodochi), i primi ospedali e poi le spezierie che divennero vere e proprie officine farmaceutiche. Lì si preparavano gli erbari ex siccata e si riproducevano in stupende miniature piante medicinali per studio farmacologico e morfologico, compilando testi di medicina che saranno decisivi per il successivo sviluppo di tale scienza. D’altro canto l’antica pratica del salasso, sempre metodo d’elezione in moltissimi casi patologici, si continuò ad adoperare a scopo profilattico per prevenire le malattie contagiose e le infiammazioni, finchè nel Rinascimento, ritornando in auge gli autori classici, s’incolparono gli Arabi d’aver malamente tradotto i testi greci a riguardo. Nella lotta tra arabisti o averroisti e galenisti o aristotelici, combattuta nelle università e nelle scuole, il salasso costituì uno dei più importanti argomenti della contesa.
Bruno fondatore dell’Università di Padova
Bruno di Longobucco nacque a Longobucco nei primi anni del secolo XIII. Diceva di sé stesso “Ego Burnus gente Calabre patris Longoburgensis”. Riguardo ai suoi studi, si pensa che siano stati svolti tra Longobucco e Rossano, visto il periodo fiorente che la Calabria settentrionale godette grazie alla protezione culturale di Federico II di Svevia e ai grandi scambi commerciali. Bruno, dopo aver conseguito tali studi, si trasferì dapprima a Bologna e poi a Padova dove contribuì alla fondazione dell’Università, avvenuta il 29 settembre del 1222 e, insieme a Pietro d’Abano, insegnò nella citata Università le dottrine arabe aggiornate alla luce di nuove scoperte, diventando ben presto ambasciatore della “medicina arabista” in Italia e in Europa. Compose la “Chirurgia Magna”e poi la “Chirurgia parva” , i suoi trattati di medicina più letti e consultati tradotti in italiano, francese, tedesco ed ebraico. La Piccola chirurgia, non altro che il compendio di quella magna, fu composta per gli studenti perché avessero un manuale. A testimonianza della fama di Bruno di Longobucco esistono considerazioni di Guy de Chauliac, il più grande chirurgo del Trecento, che lo considerava uno dei più capaci medici del secolo XIII. Bruno morì probabilmente nel 1286dopo essere stato un antesignano dell’antisepsi: infatti ritenne che per prima cosa fosse necessario fermare l’emorragia per prevenire la suppurazione, lasciando poi aperte le ferite e fasciandole infine con bende imbevute di vino bollito, al contrario di Galeno, secondo cui la fuoriuscita di pus era buon segno sulla guarigione della ferita. Egli per primo praticò la paracentesi in presenza di idropisia e sutura con fili di seta, cotone o budella animale. Introdusse l’intervento di cataratta, utilizzando una tecnica molto complessa: suggerì il taglio delle vene della congiuntiva quando esse fossero diventate varicose.
In Calabria nel 1300 funzionavano ancora molti cenobii basiliani e scuole private di medicina, che si erano formate sulla base di quella che Cassiodoro aveva fondata nel V sec. nel suo monastero di Squillace. Presso tutte le scuole mediche calabresi poi, erano conosciute nel testo originale greco le opere di Dioscoride che trattavano delle virtù delle erbe, di Celio Aureliano impostate sulla medicina teorica, ed una raccolta, anche questa in lingua greca, dei Precetti medici e delle opere terapeutiche di Ippocrate e di Galeno ; Reggio era anche famosa per la conoscenza della medicina classica perchè attingeva notizie dal monastero del Santissimo Salvatore a Messina, con biblioteche contenti molte opere di scrittori di medicina e di raccolte di ricette e terapie in lingua greca.
Nicola Deoprepio, meglio noto come Niccolò da Reggio (Reggio Calabria, 1280 – … Contemperaneo del monaco Barlaam di Seminara e di Leontio Pilato, Compì gli studi classici nella città natale dove apprese anche i primi rudimenti dell’arte medica. fu maestro di medicina a Salerno. Successivamente si trasferi’ a Salerno e consegui’ la laurea in medicina presso la Reale Accademia dove insegnò San Tommaso d’Acquino. Quando il giovane calabrese vi si recò l’Istituto, che aveva raggiunto floridezza tra il XII ed il XIII sec. quando sulla base della medicina greca tradizionale erano sorte le facoltà chirurgiche, si trovava già in lieve decadenza. Tutti i più grandi medici medievali si erano formati presso la scuola di Salerno che continuerà a funzionare fino al XIX secolo anche se la sua decadenza fu inarrestabile dal XV sec. in poi. L’importanza della scuola medica salernitana, rispetto alle Facoltà di medicina degli Atenei di Napoli e di Bologna, consistette nel suo mantenersi fedele alla tradizione Ippocratico-Galenica: Napoli, Bologna e Montpellier avevano accettato già in buona parte le dottrine degli arabi, mentre a Salerno esse non erano riuscite ad alterare il pensiero greco della Scuola presso cui altri illustri medici calabresi, tra cui ricordiamo Giordano Ruffo di Cosenza e Bruno di Longobucco )( medicus in re chirugica nullus secundus),avevano insegnato. Vissuto durante il periodo angioino sotto Carlo II e Roberto d’Angiò, nella prima metà del XIV secolo, la fama del medico reggino è legata soprattutto alle traduzioni dal greco al latino delle opere di Aristotele e di Galeno, che gli furono commissionate dai re angioini. Niccolò effettuò le sue traduzioni direttamente dai testi greci allora diffusi nel sud Italia e presenti in abbondanza nelle biblioteche dei monasteri benedettini, I libri di Ippocrate, Galeno, Nicola Mirepso, i vari trattati di biologia di Aristotele, furono tradotti dal greco al latino Il più celebre di tutti i traduttori fu il filologo medico Niccolò da Reggio, poichè egli tradusse sempre direttamente dal greco dall’arabo tutti i libri di Galeno, buona parte di quelli di Ippocrate ed altri di scrittori antichi. In qualità di medico accompagnò il Re in vari viaggi diplomatici. Durante un viaggio ad Avignone attese alla traduzione di alcune opere di Galeno che presentò poi presso la Curia Papale dove si trovava il famoso professore di medicina di Montpellier, chirurgo personale del Papa, il famoso Maestro Guido di Chauliac. Questi introdusse le traduzioni di Niccolò all’interno della sua Università, forse uniche in latino tra quelle arabe lodandole anche nel proemio del suo trattato intitolato Chyrurgia Magistri Guidonis De Caulico in cui è riportato: “… in hoc tempore in Calabria Magister Nicolaus de Rhegio in lingua greca e latina perfettissimus libros Galeni translavit et in eos in Curia nobis trasmisit, qui altioris et perfectioris styli videntur quam translati de arabica lingua…” descrive l’attività del reggino con ammirazione, affermando inoltre che la lingua greca a Reggio (uno dei porti del Regno dove giungevano codici da tutto il bacino del Mediterraneo) e nel sud dell’Italia, era la lingua dei dotti Il valore dunque dell’opera del traduttore reggino nasce dal fatto che le versioni latine erano sino ad allora ottenute da corrotti codici arabi, non sempre fedeli nel riportare il pensiero genuino degli scrittori greci.. Ritornato a Napoli, Niccolò continuò per oltre un ventennio a fare il medico e traduttore e si spense attorno al 1350.
Il contributo al mantenimento della medicina di tipo classico dato dal Sud dell’Italia fu grandemente importante: le condizioni in cui si trovava la medicina in Europa durante il XIV sec., erano difficili, e la tradizione greca del nostro Meridione riuscì in parte a salvarla.
Presso tutte le Scuole e le Università imperavano traduzioni arabe di tutta la scienza filosofica antica ed i testi di medicina si basavano conoscenze alchimistiche tipiche di questo popolo che ne ostacolavano l’efficacia dal punto di vista pratico da un lato, Le traduzioni dal greco antico in latino offrivano inoltre, conoscenze tecniche che proteggevano la scienza dalle tenebre in cui tentava di avvolgerle l’ascetismo medievale, che suggeriva per esempio come mezzi supremi di salute dei pellegrini verso Santuari famosi, le acque benedette e reliquie varie. La Scuola salernitana fu quella che resistette di più agli influssi arabi, meno Bologna e ancor meno di tutte Montpellier. Offuscandosi l’idea della medicina intesa come applicazione rigorosa di un codice deontologico, molti medici, avidi di guadagno, promettevano guarigioni impossibili con cure dannose che però spettacolari, tralasciando il Giuramento di Ippocrate. Uno tra i primi a levare la voce contro l’arabismo fu Francesco Petrarca che, afflitto in età avanzata da varie malattie, critica aspramente nelle Epistolae Familiari, nelle Epistolae Senili e nelle Epistolae Invectivae i medici arabisti. In alcune delle Epistolae Senili, ne enumera i difetti, le deficienze, la ciarlataneria e l’impostura; scrive infatti all’amico Giovanni de’ Dondi: “..E quì di una cosa m’è d’uopo pregarti innanzi di por fine alla lettera: ed è che mai nel consigliarmi tu non ti valga dell’autorità degli arabi. Io ne aborro la razza. Dei Greci so bene che furono grandi per ingegno e per facondia; e so che molti furon tra loro filosofi illustri, poeti ammirabili, eloquentissimi oratori, matematici insigni e solenni professori di medicina.”Petrarca perciò odiò la medicina a di origine araba auspicando il ritorno a quella di carattere greco e latino e, pur lanciando varie invettive contro i medici suoi contemporanei, stigmatizzò la ciarlataneria contribuendo indirettamente al risveglio della medicina classica.
Il risorgimento degli studi classici nel sec. XIV, fu favorevole anche per le scienze mediche, poichè comparve anche un’altra categoria di terapeuti quelli cosiddetti empirici che con fanatismo e superstizione avevano peggiorato terribili epidemie come la lebbra e la peste che avevano falcidiato la popolazione europea nel 1348. Il De Rensis ne parla nella sua opera intitolata Storia della Medicina: “… la terapia dominante e l’astrologia allontanavano le menti dalle vere cagioni”. Cominciò così il risorgimento delle opere degli scrittori medici antichi, promosso proprio nel Meridione d’Italia che stando al De Rensis fu: “… il primo promotore della medicina classica non alterata dagli arabi…”.
Dall’anno 500 a.C. la teoria degli umori dominerà con vari indirizzi il pensiero medico per oltre duemila anni sino al 1858 quando lo scienziato Rudolf Virchow iniziò a parlare di patogenesi della cellula.
Fonti storiche: Enciclopedia Treccani Raccolta riviste di medicina Ciba Dott.H.Caprez.