di Gianluca Albanese
SIDERNO – La guantiera coi cannolicchi sul piatto della bilancia, una spanna sopra la mia testa. Il contenuto formava una sorta di piramide col vertice schiacciato che faceva risaltare la simmetria dei due colori del ripieno: il bianco della crema e il marrone del cioccolato. Due mani agili a sistemare una striscia di cartoncino sottile per tenere l’incarto sollevato, una volta chiusa la confezione. Quelle stesse mani, dopo qualche ora, avrebbero difeso i pali della porta dell’AC Siderno.
Inizia dalla pasticceria Caricari in via Jonio, una domenica mattina della mia infanzia, il film dei miei ricordi del calcio locale. Del titolare ricordo i baffoni larghi come la mia guantiera di cannolicchi che gli valsero il soprannome di ‘u banditu.
Era il portiere del Siderno, un estremo difensore atipico: di statura non alta, era una sorta di antesignano dei portieri di statura medio-bassa. Alla Franco Tancredi, per intenderci. Perché da un palo all’altro della porta, ‘u banditu volava. Eccome se volava.
Ci sarà stato sicuramente lui in porta quando vidi la mia prima partita sugli spalti del “Comunale”. Da bambino, insieme a mio padre.
La gradinata era solo la sezione centrale di quella attuale: una specie di fetta di torta come quelle che preparava ‘u banditu. Ma era piena di gente. Eccome se era piena. Anche quel giorno del derby – si fa per dire – col Condoianni (meraviglioso borgo antico nel comune di Sant’Ilario) che quell’anno aveva una squadra militante nel campionato di 2^ categoria. Vinse il Siderno con un punteggio che poi avrei imparato a definire “tennistico”: un rotondo 6-0.
Gli anni passarono: la fettina di torta della gradinata si allargò fino ad assumere le dimensioni attuali, il manto erboso, curato dal bravissimo Vincenzo Pasqualino – ‘u Vici d’u campu – era sempre più perfetto e faceva invidia agli sportivi degli altri paesi; a cingerlo arrivò una meravigliosa pista in tartan a otto corsie uguale a quella che ammiravo in Tv quando guardavo le corse di Pietro Mennea e Gabriella Dorio, che coi suoi riccioli d’oro offriva un modello di atletica femminile diverso da quello dell’androgina Sara Simeoni, la grande campionessa di salto in alto. Ah, a proposito…ovviamente allo stadio di Siderno c’erano anche le pedane dei lanci e dei salti, e tanti furono i giovani (da Alberto Crupi ad Angelo Errigo) che riuscirono a eccellere in quella disciplina, mentre Damocle Argirò, qualche anno dopo, allevò generazioni di atleti nella società “Azzurra”, l’erede dell’USAL di Marcello Attisano. Si tennero decine di edizioni di giochi della gioventù, fino alla grande manifestazione dei “Giochi Jonici” nei primi anni ’90.
Ovviamente, lo stadio divenne ben presto il luogo d’allenamento di tante persone, prontamente redarguite da Vici d’u campu che al megafono urlava “Dopo la quaaaaaartaaaa” ai tapascioni come me che con la loro andatura lenta ostruivano il passaggio ai veri atleti professionisti che prediligevano le corsie dalla prima alla quarta, appunto.
Ma torniamo al rettangolo di gioco.
In quegli anni (seconda metà degli anni ’70 e prima metà degli ’80) il Siderno, grazie a una società di prim’ordine e una gran bella squadra, scalò le classifiche dei campionati e il “Comunale” di contrada Tamburi divenne punto di riferimento per le partitelle di allenamento del mercoledì di alcune squadre di serie A.
Prima tra tutti il Catanzaro.
La prima volta che scoprii l’esistenza degli autografi fu dopo l’amichevole tra Catanzaro e Siderno al “Comunale”. Vidi un mucchio di bambini attorno a Massimo Palanca, il bomber coi baffoni che segnava dalla bandierina del calcio d’angolo che, con pazienza e il sorriso, faceva l’autografo a tutti. Io non ero attrezzato. Fu il caso che mi fece raccogliere il coperchio di una scatola di medicinale (credo un flacone di sciroppo) su cui Massimè mise la sua firma.
‘sta cosa dell’autografo mi piacque così tanto che il giorno dopo lo chiesi anche a Cecè Auletta, un giovane studente di origine lucana che abitava nell’appartamento adiacente al mio, ospite degli zii. Auletta era il difensore centrale del Siderno.
E poi l’Avellino.
Vallo a spiegare ai millennial che la squadra irpina fu, per molti anni, una delle provinciali più ostiche della serie A. Aspettavamo tutti Juary, l’attaccante di colore che poi sarebbe stato ceduto all’Inter e dopo ogni goal festeggiava facendo un giro attorno alla bandierina del corner, ma qual pomeriggio non venne. Ci “accontentammo” del suo partner d’attacco Chimenti, di un giovanissimo Stefano Tacconi in porta e di capitan Di Somma, al quale feci una foto con la mia fotocamera perché, nel frattempo, mi ero attrezzato.
Di sicuro non avrei mai immaginato, allora, che un giorno avrei fatto io le telecronache e gli articoli delle partite del Siderno per diversi anni. Volavo basso anche coi sogni.
Ma torniamo ai tempi d’oro.
Era importante Siderno nel panorama calcistico nazionale: il suo campo sportivo una volta ospitò, negli anni ’90, una partita di serie B. Complice l’indisponibilità del “Granillo”, infatti, Reggina-Udinese si giocò a Siderno. Ricordo la tribuna stampa piena di inviati delle testate nazionali, Carminello, Pelè e Ciccio Casciano (gli ultrà amaranto che avevamo imparato a conoscere nell’allora curva Nord) a dirigere i tanti tifosi, e il Caciacio – sempre lui – che pensò bene di entrare allo stadio a metà mattinata, per non perdere il posto e, probabilmente, per non pagare il biglietto. Quando lo vidi entrare gli chiesi se non dovesse andare a mangiare all’una e, facendomi segno di no con la testa, rispose serafico: “Mangiu stasira”. La sua determinazione fu premiata. La Reggina vinse e lui si cacciò lo sfizio di prendere in giro l’estremo difensore friulano, che qualche anno prima giocava nel Napoli di Maradona, urlando “Giuliani…’a facisti ‘a carriera!”.
Che tempi!
Ma non finì lì.
Perché, verosimilmente per i buoni uffici del compianto Michele Tigani, allora capo ufficio stampa della Federazione Italiana Giuoco Calcio (che con Enzo Leonardo formava una preziosa coppia di sidernesi galantuomini calciofili appassionati e competenti), allo stadio di Siderno si giocò una partita della Nazionale Under 20: Italia-Polonia.
Non ricordo molto della partita, credo finì 0-0 ma in quella occasione ebbi molto chiaro l’annullamento di ogni distanza tra il calcio dilettantistico della mia cittadina e quello professionistico visto in Tv.
E poi…un pomeriggio scendevo dalla via Amendola col mio MBK Sorriso color biancoverde. Un cinquantino che nel ’92 ebbe un discreto successo commerciale, visto come una novità (insieme al Peugeot Metropolis e il molto più fortunato MBK Booster) al quale lego tanti bei ricordi.
Sul marciapiede lato Sud, nei pressi dell’edicola Alvaro (‘a napoletana) dove adesso c’è il mio amico Tonino Chiarelli, risaliva, presumibilmente dal lungomare, un signore in giacca blu, capelli castani con la riga di lato e una nuvola di fumo che, insieme alla barba con dei riflessi sale e pepe, tendevano a confonderne i lineamenti. Mi sembrava di conoscerlo, anche se la leggera pinguedine del suo fisico mi portava fuori strada.
Fu un improvviso stop del traffico a costringermi a fermarmi e a scorgere meglio in quel signore appesantito ma comunque elegante il volto di Marco Tardelli, simbolo, insieme a Paolo Rossi e capitan Zoff, del Mondiale di Spagna ’82. La sua esultanza con la folle corsa e l’urlo dopo aver segnato il goal del momentaneo 2-0 alla Germania è l’immagine stessa di quel trofeo mondiale, il più bello della mia vita da tifoso. Avrei voluto spegnere lo scooter, scendere e raccontargli delle emozioni di quella sera e di una carriera da n° 8 in maglia bianconera e azzurra.
Ma qualcosa mi frenò.
Forse la consapevolezza che gli avrei detto le stesse cose già sentite da altri milioni di tifosi incontrati. Vinse il pudore. Anche se ricordo i brividi sulla schiena che provai nell’incrociare il suo sguardo su quel marciapiede percorso migliaia di volte da me, a piedi o su una bicicletta con le rotelle nella mia infanzia.
Il traffico si sbloccò e la manopola del mio scooterino si mosse lentamente. Tardelli divenne solo una nuvola di fumo di sigaretta che riuscii a scorgere con la coda nell’occhio. Nonostante il fisico appesantito rispetto a quello asciutto da calciatore, ci mise poco a tornare nell’albergo che ospitava la nazionale Under 20 di cui era il Ct.
Ma fu bellissimo incontrarlo. A Siderno.
2/ continua…