di Gianluca Albanese
BRANCALEONE – Una confessione come uno Tsunami di parole che, al di là della certezza che potrebbe arrivare solo con la prova del DNA, riesce a far luce sull’ennesimo episodio di femminicidio ma che, nel contempo, abbatte molti luoghi comuni.
Lasciamo che gli inquirenti chiudano definitivamente il cerchio sull’omicidio della badante ucraina Tatiana Kuropatyk. Per ora, vogliamo solo evidenziare che perfino in una storiaccia del genere, ci sono due categorie che l’immaginario collettivo classifica come “marginali” e che invece escono da questa vicenda a testa alta, altissima, se non fosse per il sincero cordoglio per la fine assurda e le modalità barbare del delitto, così come è stato descritto nella confessione del ventunenne Gianluca Bevilacqua.
LE DONNE DELL’EST
Da quando la caduta nel Muro di Berlino ha dato la stura a imponenti fenomeni migratori verso l’Europa occidentale, il mito della donna dell’Est disposta a tutto pur di guadagnarsi da vivere si è fatto subito alimentare dalla faciloneria dell’italiano qualunque, sfociando in una serie di luoghi comuni da nazione piccolo-borghese, pettegola e superficiale.
E così le donne dell’Est non sono più le sorelle maggiori delle ragazze cantate da Claudio Baglioni in una canzone di trent’anni fa, ma semplici “prede” per facili appetiti di chi mette in cantina la propria capacità di seduzione puntando solo sul bisogno e la povertà altrui. Una sorta di turismo sessuale a casa propria, per molti.
In realtà, la stragrande maggioranza di donne dell’Est europeo emigrate da noi è fatta di oneste lavoratrici, mogli e madri di famiglia che si danno da fare per raccogliere il gruzzoletto per realizzare il piccolo sogno di acquistare un appartamentino da abitare il giorno in cui vorranno tornare nel loro paese, dopo aver lottato contro pregiudizio, bisogno e anche una burocrazia e uno Stato che loro stesse considerano spesso meno efficiente di quelli che hanno lasciato. Altre, mettono su famiglia qui e decidono di diventare locridee d’adozione.
Non conosciamo i progetti di Tatiana che il suo macabro destino le ha impedito di realizzare. Sappiamo solo che non è morta perché contesa da uno dei presunti tanti amanti che la pubblica ottusità le avevano già attribuito; nessuna storia di corna di quelle che piacciono tanto al pubblico dei talk show televisivi del pomeriggio. E’ morta, secondo la confessione di Bevilacqua, per un raptus omicida, un istinto animalesco, un tragico destino che si è incrociato con la sua vita. E allora, per cortesia, la si smetta con le supposizioni sulla vita privata di una donna poco più che ragazza, che viveva da sola in un posto lontano da quello in cui era nata e cresciuta e che avrà avuto piena consapevolezza e padronanza della sua vita sentimentale. La si rispetti. Si rispetti la sua memoria e la sua vita interrotta in un giorno dannato e, ci sia consentito, si guardi con maggiore rispetto alle donne dell’Est.
Una brava scrittrice reggina come Katia Colica, alta, bionda e slanciata come l’idealtipo della donna dell’Est nell’immaginario collettivo, scrisse tempo fa sul proprio diario di facebook che “Quando mi vedono mi prendono per una dell’Est e mi danno del tu; poi mi sentono parlare e mi chiamano “dottoressa””. Una riflessione tanto chiara e diretta quanto un pugno nello stomaco all’ipocrisia di chi, per convenienza, tende a rispettare il compaesano e a trattare con sussiego o faciloneria chi viene da fuori. Parole che fanno riflettere quelle della Colica.
GLI ZINGARI
Bevilacqua, un cognome una garanzia. Gli zingari che rubano, che vivono nel degrado dei ghetti come quello vicino al locale campo sportivo, che vivono di espedienti e che sono chiusi all’esterno, se non quando si tratta di concludere “affari” più o meno loschi. Sarà anche uno zingaro il giovane che si autoaccusa dell’omicidio di Tatiana, ma la sua famiglia non si è chiusa a riccio; anzi, come riferito in sede di conferenza stampa oggi in Procura, ha anche collaborato coi Carabinieri.
E quindi anche qui gli amanti delle generalizzazioni e dei luoghi comuni sono stati serviti. “Ho visto anche degli zingari felici”, cantava Claudio Lolli. In questi giorni a Brancaleone si sono visti tanti zingari animati da senso civico e spirito di collaborazione, nonostante il retroterra fatto di degrado e di congiunti carcerati per delitti analoghi. Chapeau.
BRANCALEONE, CITTA’ SOLIDALE
La comunità cittadina sta tenendo in questi giorni un comportamento esemplare. Abbiamo dato notizia del comitato che si è costituito ad hoc per raccogliere i fondi tali da garantire una degna sepoltura a Tatiana nel suo paese d’origine; sappiamo dei cittadini che hanno collaborato attivamente con le forze dell’ordine, rompendo quel muro di omertà che ormai era un marchio a fuoco delle popolazioni meridionali.
Ora, ci giunge notizia della fiaccolata silenziosa di solidarietà e contro la violenza sulle donne che si terrà venerdì 27 (e non domani sera, come la pro loco ha comunicato in precedenza). Organizzata dalla locale pro loco presieduta dal giovane Carmine Verduci, intende coinvolgere il numero maggiore di cittadini e associazioni e, dalla piazza stazione si snoderà da corso Umberto I fino al lungomare, per concludersi con un momento di preghiera alla chiesa di San Pietro Apostolo che sarà coordinato dal parroco don Angelo Battaglia.
Un esempio per tutti i paesi d’Italia e del mondo. L’accoglienza, infatti, non si fa solo coi buoni mensa e le case in comodato, ma parte dal rispetto per il prossimo, anche e soprattutto se viene da lontano.
E se Tatiana da lassù avrà visto tutto questo, saremo sicuri che quando le indagini saranno concluse e il suo cadavere tornerà in Ucraina, la terra le sarà più lieve. La ricorderemo coi sui capelli biondi come il grano che abbonda dalle sue parti e ricorderemo la sua tragica fine anche come occasione, per la nostra gente, di offrire il suo volto migliore. “Italiani brava gente” penserà di nuovo qualcuno dalle parti di Kiev.