di Patrizia Massara Di Nallo (foto Illustrazione dal libro Cuore del 1886 -foto web)
Dopo l’incremento degli episodi di violenza nelle scuole, accaduti nei giorni scorsi anche in Calabria, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha dichiarato (di voler introdurre) “un’ulteriore, specifica sanzione risarcitoria, che stiamo elaborando insieme con il ministro Nordio, per il danno reputazionale che le scuole ricevono dall’aggressione dei propri dirigenti scolastici, dei propri docenti o del personale in generale”.
Ha anche sostenuto durante un question time: “E’ evidente che chi aggredisce un dipendente della scuola aggredisce lo Stato, minando nel profondo la credibilità e l’autorevolezza dell’istituzione”.
Attualmente, con un disegno di legge all’esame del Senato, si vuole dare sia maggiore peso al voto in condotta sia ripensare l’istituto della sospensione, “che non può portare al paradosso di un ulteriore allontanamento dello studente dalla comunità scolastica, ma che deve invece costituire un’occasione di consapevolezza del valore della sanzione, da vivere all’interno della scuola o attraverso attività di cittadinanza solidale”, ha detto il ministro. La stessa proposta di legge contro la violenza nelle scuole prevede la costituzione di un Osservatorio nazionale sulla sicurezza del personale scolastico, un organo che si occuperebbe di monitorare il fenomeno della violenza, relazionarne al Parlamento e indicare al Ministero le iniziative da prendere per migliorare i rapporti tra studenti, professori e genitori ( per esempio i corsi di formazione per gli insegnanti e i progetti di prevenzione del disagio giovanile).
La proposta, che prevede l’introduzione della Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti del personale scolastico (che si dovrebbe celebrare ogni 15 dicembre), vorrebbe anche modificare gli articoli 336 e 341 bis del codice penale che puniscono chi esercita violenza, offende o minaccia pubblici ufficiali ed aumentare la pena “fino alla metà se il fatto è commesso dal genitore esercente la responsabilità genitoriale o dal tutore dell’alunno”.
“Le aggressioni ai professori sono ormai un bollettino di guerra”, ha affermato il ministro Valditara, che ha posto anche il tema della necessità di riflettere sull’introduzione strutturale dello psicologo nelle scuole, perché, secondo alcuni esperti, questa escalation di violenza (5 casi al mese) è da ricondurre alla fragilità emotiva degli studenti e al loro disagio psicologico cresciuti in modo esponenziale nell’era post Covid. Gli insegnanti continuano a subire le conseguenze di una società insoddisfatta ed egoista, che, anziché prendersi le proprie responsabilità, proietta le sue frustrazioni su quelli che hanno il compito di coadiuvare, al di fuori della famiglia. l’educazione dei ragazzi. Il ruolo dell’insegnante, quale depositario di un sapere collettivo, si è impoverito e la sua funzione di educatore ne ha risentito sia nell’autorevolezza sia nella responsabilità personale che in alcuni contesti sociali sembrano variare in modo inversamente proporzionale. L’educazione ( il condurre fuori) che da sempre è stata appannaggio soprattutto dei genitori, e solo in parte della scuola, quindi quella morale, religiosa e civile, è da molti anni delegata interamente agli insegnanti da parte di alcune famiglie, “distratte” riguardo alla crescita morale e intellettuale dei figli. Se un insegnante redarguisce l’alunno per un comportamento sbagliato, è colpevole a priori e degno solo di essere affrontato dal genitore, che si erge a paladino del figlio, con atteggiamenti di disprezzo o violenza a prescindere da dove alberghi il torto o la ragione. Questa crisi della scuola viene quindi generata anche, e spesso a sproposito, dalle eccessive ingerenze di alcuni genitori che screditano il ruolo dell’insegnante agli occhi dei figli, quasi i docenti siano baby-sitters al loro servizio più che formatori culturali.
Ne deriva che i soggetti violenti, anziché collaborare proficuamente con i docenti, trovano nell’ambito scolastico un terreno fertile per aggredire e al contempo giustificare il proprio comportamento, diventando in tal modo esempi negativi per i loro figli che, dal canto loro, tendono ad emularli. Infatti anche i ragazzi sempre più spesso mettono alla berlina o affrontano, verbalmente o fisicamente, gli insegnanti, nell’intento di ottenere un ruolo di rilievo o di supremazia all’interno della classe. Nell’ingannevole spettacolarizzazione caratteristica dell’era digitale, il bullismo, nei confronti quindi non solo dei compagni ma anche dei docenti, filma sé stesso e mette in rete le registrazioni in un’autoreferenziale deriva morale che coinvolge e stravolge anche la parte sana della società.
A tal proposito ci piace ricordare Victor Hugo: “Niente è stupido come vincere; la vera gloria è nel convincere”. Ma la sfida epocale da affrontare da parte di tutta la società è: come si può restituire autorevolezza culturale ed etica a una figura professionale che in passato era tra quelle più rispettate? Le proposte più caldeggiate da vari attori sociali mirano a un innalzamento della qualità del corpo docente attraverso intervenenti sia sul fronte della loro formazione che su quello del miglioramento dei processi di selezione nei loro riguardi ed un aumento degli stipendi per rivalutarne, anche in termini economici, il ruolo sociale. E questo avvalorerebbe la tesi secondo cui “gli esami non finiscono mai”(Eduardo De Filippo) e “La vita deve essere una continua educazione” (Gustave Flaubert).
Ci auguriamo comunque che basti intervenire sulla preparazione di base e sull’aggiornamento culturale dei docenti per frenare chi sguazza nell’ignoranza civile e morale e impedire che aumenti il numero degli insegnanti che vogliono abbandonare la scuola solo a causa dell’aumento esponenziale delle situazioni stressanti.
In Occidente, in vari Stati europei, negli ultimi anni sono diventati campi di battaglia i luoghi, scuole ed ospedali, deputati ad accogliere alcune delle persone più vulnerabili della società: i malati e i ragazzi. Si continuano infatti a perpetrare violenze contro quelli che legalmente sono oltretutto pubblici ufficiali: i medici e gli insegnanti. Mentre però per gli insegnanti la legge è più chiara e non lascia adito a dubbi, per i medici ha inserito tra i pubblici ufficiali solo tutti i soggetti muniti di potere di certificazione.
Quindi, a rigor di logica, dovrebbero essere considerati pubblici ufficiali soltanto quei medici dipendenti o convenzionati con il S.S.N. Recentemente però, a tal proposito, si è espressa la Corte di Cassazione stabilendo che il reato di aggressione contro un’infermiera era da ascriversi tra quelli contro un pubblico ufficiale: infatti anche se l’infermiera era un incaricato di pubblico servizio, e non un pubblico ufficiale, aveva dovuto comunque interrompere il suo ufficio pubblico.
Gli ospedali, luoghi di sofferenza, che dovrebbero essere silenziosi e protetti per agevolare il delicato lavoro del personale e preservare la tranquillità dei degenti già duramente provati, sono diventati, soprattutto nelle zone di maggior affluenza di pubblico come i pronto-soccorso,spazio di violenti scontri e tafferugli. Nel 2023, in Italia, si sono contate circa 1.600 aggressioni a medici e infermieri e, poiché questo fenomeno non solo è internazionale ma è anche in crescita, ha monitorato la questione anche l’Oms che segnala che fra l’8% e il 38% degli operatori sanitari ha subito una forma di violenza fisica nel corso della sua carriera e che sono ancora più numerosi coloro che sono stati attaccati verbalmente. Nel nostro Paese sono in continuo aumento gli infortuni sul lavoro invalidanti o mortali e fra questi dobbiamo purtroppo annoverare non solo gli incidenti interni, ma anche le aggressioni sopravvenute dall’esterno come accade negli ospedali alcuni dei quali, per es. a Frosinone, hanno dovuto attivare un bottone rosso di emergenza collegato direttamente con le Forze dell’Ordine.
Secondo l’Ordine delle professioni infermieristiche, per esempio, non vengono quasi più denunciate le aggressioni verbali, che sono comunque motivi importanti di stress e che possono portare anche ad abbandonare la professione. Nei pronto-soccorso nessun medico vuole immolarsi più sull’altare dell’etica professionale sostenendo oltretutto che gli stipendi non sono proporzionali ai rischi che si corrono: entri da medico e puoi uscire (o meglio cambiare reparto a seconda dei traumi riportati) da paziente, tantochè ad hoc i sanitari hanno chiesto che negli ospedali venga assunto stabilmente del personale di sorveglianza.
Per porre freno a questi pericolosi e preoccupanti atti è stata approvata nel 2020 una legge che prevede un aumento della sanzioni penali in caso di violenza al professionista sanitario. Inoltre, con decreto ministeriale del 2022, è stato istituito, presso la Direzione generale delle professioni sanitarie e delle risorse umane del Servizio sanitario nazionale del Ministero della salute, l’ONSEPS (Osservatorio Nazionale sulla Sicurezza degli Esercenti le Professioni Sanitarie e Socio-sanitarie). Questo Osservatorio deve monitorare la situazione, puntare sul potenziamento del personale sanitario e sulla sua formazione, dare direttive di prevenzione sul luogo di lavoro ( per es. fornitura di illuminazione adeguata, contatto diretto con le forze dell’ordine,ecc.) e norme di comportamento del personale (uso del lavoro in équipe come strumento di dissuasione e di gestione delle condizioni di rischio, evitando il lavoro in forma individuale,ecc.) tenendo presente che le aggressioni non sono solo perpetrate dal singolo individuo, ma anche da un branco di individui (quattro episodi al giorno, secondo gli ultimi dati). Sia la professione medica che quella docente, da sempre ambite per le nobili finalità insite in esse, le soddisfazioni personali di ordine etico, il contatto diretto e coinvolgente con il prossimo e l’immediato e tangibile riscontro del proprio operato, purtroppo oggi esercitano una minore attrattiva nei confronti delle giovani generazioni contribuendo ad una preoccupante mancanza di organico nei due ambiti professionali.
Infatti in Italia dal 2019 al 2021 i medici di famiglia sono diminuiti di 2.178 unità e nelle scuole, anche per l’imperversare del precariato passato dal 5% al 30%, nell’anno scolastico in corso rimarranno trentamila cattedre vuote.