di Patrizia Massara Di Nallo (foto fonte web)
BRUXELLES – Il ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida, riguardo alla carne coltivata in laboratorio ha dichiarato 《abbiamo votato in Italia la legge, siamo la prima nazione al mondo che non vieta la ricerca ma applica il principio di precauzione, vietando una commercializzazione e produzione di qualcosa di cui sappiamo ancora molto poco》 e ha sottolineato che sul dossier 《l’Italia non solo non era isolata ma è in grado di essere avanguardia rispetto alla protezione delle nostre filiere e della qualità》 aggiungendo 《lasciamo che i cittadini europei in una consultazione pubblica ci dicano cosa ne pensano》(fonte Ansa, ndr).
Cosa ne pensiamo? Anche nei decenni scorsi, quando si rese nota (e dopo Dolly del 1997 avremmo dovuto aspettarcelo) la manipolazione genetica degli alimenti, si generò nell’opinione pubblica indignazione e guardingo timore nei confronti, per esempio, della soia OGM che però al contempo veniva spacciata come la panacea di tutti i mali (fu vera gloria?) alimentando così nel consumatore confusione e sconcerto per la scelta dei cibi da introdurre nella propria dieta. Il primo OGM è stato il carcio-topo, un carciofo in cui era stato inserito il gene di un topo per renderlo più resistente all’attacco di virus e batteri.
Nel 1998 fa la sua comparsa l’albero da cellulosa capace di crescere molto più in fretta e un cavolo in grado di ripulire i terreni inquinati. Non dobbiamo però dimenticare che molti Paesi del Terzo Mondo beneficerebbero delle piante resistenti ai pesticidi, alle temperature e agli insetti perché riuscirebbero a ridurre la fame e a risolvere i problemi agricoli nei terreni semidesertici dell’Africa sub-sahariana. Interessante sarebbe anche la coltivazione delle patate che tengono sotto controllo la glicemia o i cibi, già confermata ed apprezzata realtà, addizionati di minerali utili all’organismo.
Non si riesce invece a scovare la necessità, se non quella economica, di far crescere delle angurie cubiche che, per sfruttare all’ennesima potenza lo spazio durante il trasporto, avrebbero solo l’indesiderato esito di popolare i nostri incubi futuri. Le visioni picassiane della natura, già oltremodo oltraggiata da ogni punto di vista, sarebbero foriere di un ulteriore stress psicologico perché l’Uomo faticherebbe a riconoscere il suo habitat naturale, con gli abituali paesaggi e i genuini prodotti della terra, in cui è stato immerso e che lo ha da sempre accompagnato. La frutta e la verdura ammaccata, intaccata o poco colorata avrà un aspetto meno attraente, ma è arrivata sulle nostre tavole con il suo naturale patrimonio genetico. E questa parolina, “naturale”, basta a riconciliarci con il conscio e con l’inconscio.
Il progresso della scienza non sempre si basa sulla perfezione dei mezzi usati nè sull’equo rapporto mezzi-fini, per cui le tecniche transgeniche in agricoltura possono far diminuire la fertilità del suolo inquinando terreno e acqua e diventando oltremodo dannosi per la salute dell’Uomo. E’ lecito che l’Uomo intervenga su meccanismi biologici modificando le leggi naturali? Si chiede la bioetica. La biodiversità può sopravvivere da sola a un eventuale processo di selezione naturale? Si domandano gli ambientalisti. Non conoscendo ancora appieno le conseguenze delle manipolazioni genetiche, occorre almeno considerare le implicazioni morali, religiose e sociali.
Herbert Marcuse, filosofo e sociologo disse: 《La quantificazione della natura, che ha portato a fornire di essa una spiegazione in termini di strutture matematiche, ha separato la realtà da ogni scopo inerente e, di conseguenza, ha separato la verità dal bene, la scienza dall’etica》. Pietro Pini, filosofo cristiano: 《L’uomo stesso è contaminato e distrutto, quando è contaminata e distrutta la natura in cui vive e che vive in lui》.
E non abbiamo fatto in tempo a metabolizzare l’idea dei cibi transgenici che abbiamo dovuto inforcare gli occhiali perché non ci sfuggisse il più piccolo dettaglio delle etichette alimentari alla ricerca di ingredienti ritenuti a torto salutari ed ecocompatibili e che invece “alimentano” solo gli interessi delle varie industrie del settore (olio di palma, olio di colza,ecc.).
Oggi si pone un nuovo dilemma: la coltivazione della carne in laboratorio che al momento calamita la nostra attenzione e curiosità. E guai a chiamarla “carne sintetica”, perché di sintetico non ha nulla provenendo esclusivamente da cellule animali. E’infatti “carne coltivata” in laboratorio, ma quella del laboratorio è una sottigliezza.
Il Comitato Etico presieduto da Carlo Alberto Redi ha analizzato i principali vantaggi e obiezioni all’impiego e diffusione di queste nuove biotecnologie, concludendo che 《lo sviluppo e l’adozione di tecniche per la produzione di carne da cellule staminali animali potrebbe rappresentare un passo importante, seppur all’interno di un quadro strategico più articolato, per costruire un futuro migliore per l’umanità, rispettoso delle altre specie animali e dell’ecosistema del Pianeta》.
Nessuna meraviglia se i promotori e i fautori di queste alternative sono stati pronti a toglierci ogni dubbio che avessimo potuto nutrire sull’opportunità di queste produzioni. Le principali motivazioni addotte a riguardo sono: la più facile reperibilità della materia prima (carne) senza ricorrere agli allevamenti intensivi degli animali con annesso massiccio utilizzo di antibiotici e rischio per l’Uomo di antibiotico-resistenza ; il minore inquinamento dell’atmosfera per emissione di gas serra; un notevole risparmio di acqua e di energia e addirittura un’inaspettata maggiore sicurezza alimentare perché in laboratorio si ridurrebbe il rischio di malattie derivate dagli animali e si eviterebbero contaminazioni esterne. Per quanto riguarda la stampa in 3d, finora comunemente utilizzata per innumerevoli scopi eccetto che per il cibo, è la stampante stessa a simulare la struttura fibrosa della carne a partire dall’utilizzo di ingredienti vegetali, quali proteine e composti provenienti da legumi o ortaggi, oppure unendo a questi anche cellule prelevate dagli animali e cresciute in laboratorio.
Guardiamo increduli un tondino color rosa-amaranto che si ingrandisce sotto l’obiettivo delle telecamere e ci chiediamo se sia un ulteriore passo avanti (o forse indietro) di quella che attualmente viene propinata come conquista scientifica e tecnologica. E non solo carne! Un’azienda israeliana di tecnologia alimentare ha annunciato di aver stampato in 3D il primo filetto di pesce pronto da cuocere, sempre utilizzando cellule animali coltivate e cresciute in laboratorio. Con buona pace dell’asino a cui Carducci dedicò: 《Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo. E a brucar serio e lento seguitò》.