di Gianluca Albanese
SIDERNO – Via Verdi è una minuscola traversa tra due arterie cittadine: il corso Garibaldi e via Cesare Battisti. Una ventina di metri indifferenti all’automobilista distratto e frettoloso. In un palazzo a due piani all’angolo della via, un giorno di otto anni fa nacque un sogno professionale che in queste ore sta giungendo all’epilogo. Per me Calabria Ora è ancora lì.
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Scrivo in prima persona, perché quando si scrive solo col cuore e non con la testa, le regole di questo mestiere non contano più. La notizia che il liquidatore de L’Ora della Calabria – da qualche tempo si chiama così – ha deciso la cessazione di quello che per sei bellissimi anni è stato il mio giornale, mi getta nello sconforto e nella tristezza più profonda. In calce a questo scritto pubblico quanto diffuso dal direttore Luciano Regolo, giusto per far capire a tutti di cosa sto parlando.
Prima, però, c’è altro. Ci sono tutti i fotogrammi che l’hard disk che ognuno di noi ha nella propria anima non potrà mai cancellare, e che sono il film di un sogno divenuto la più grande esperienza professionale dopo quella che sto vivendo.
Scelsi di intraprendere quel percorso, il 6 gennaio del 2006, dopo un paio di telefonate ricevute. Perché le scelte di cuore, non ponderate, sono le migliori. Così come quella di lasciare, di mollare tutto, la notte del 5 aprile del 2012. In mezzo ci sono stati i 6 anni più belli, fino ad allora, di questa vita da giornalista.
Non posso non pensare, in queste ore, a come ci sentivamo in quei mesi che precedettero la prima uscita, datata 14 marzo del 2006. All’entusiasmo, incontenibile, di quel parto divenuto creatura una fredda mattina di marzo. A quelle due stanze spoglie e senza riscaldamento, al tavolo metallico di seconda mano e all’arredamento a dir poco spartano. Ma non importava. C’erano i due computer appena spacchettati e un mondo da conoscere. Per la prima volta dopo tanto tempo, questa periferia di Calabria aveva la sua redazione, aveva il suo giornale, inserito nel quadro di un prodotto editoriale regionale, ma con una sua presenza fisica, radicata e attiva in questo territorio.
Mi vengono in mente Paride, il direttore romantico, e Valter, il caporedattore che pretendeva sempre il massimo perché sapeva di poterlo ottenere da noi. I due Vincenzo, miei primi compagni di viaggio, e tutti quelli coinvolti a scatola chiusa nell’avventura anche da me.
Ci sentivamo parte di una fase storica, e avevamo ragione. Lo dimostrarono i fatti e il peso che ebbe quella scelta in un panorama editoriale comprensoriale assai sonnacchioso, che spesso andava avanti a forza d’inerzia e di comunicati stampa a riempire le pagine come i tasselli di un mosaico senz’anima. Lo cambiammo davvero, il modo di fare giornalismo da queste parti, perché non c’erano solo le cose che imparavamo giorno dopo giorno, non c’erano solo l’entusiasmo, il rigore professionale e la passione. C’era la nostra sana incoscienza, migliore carburante per essere davvero nuovi e diversi.
Le soddisfazioni non tardarono ad arrivare, così come i momenti difficili e gli scontri interni, dovuti a quella che durante le funzioni religiose si definisce “La fragilità della condizione umana”. Ma tutto ciò che non era bello passava presto. Rimaneva costantemente, invece, la voglia di andare avanti e dare sempre il massimo, senza orari, senza grandi gratificazioni economiche e senza orari da fare rispettare. Ma con una passione-missione, che cresceva col passare dei giorni e delle ore.
La pressione dei politicanti paesani, e quel logo giallo e nero in alto a sinistra che si vedeva sempre più spesso in giro, nelle mani di lettori-acquirenti, ci faceva capire che stavamo iniziando a dare fastidio, a diventare perfino “importanti”. Superavamo tutto, anche il dolore del primo distacco dal direttore-fondatore e da altri colleghi che a un certo punto dissero “basta”.
Poi arrivò Paolo, il sergente di ferro che c’insegnò ad alzare la testa e ad affrontare qualsiasi difficoltà. Arrivarono soprattutto tanti nuovi e bravi colleghi e collaboratori che si capiva subito che non sarebbero stati meteore come molti dei loro predecessori.
Formidabili quegli anni – direbbe Mario Capanna – di soddisfazioni professionali, ma anche gioie e dolori personali:le feste e le cene, le amicizie e gli amori nati, i matrimoni festeggiati insieme e la nascita di tanti figli, col giornale che diventava dono nell’offertorio davanti a un altare durante una cerimonia nuziale e bandiera in mano ogni mattina fuori dall’edicola.
Niente e nessun’altra cosa erano più importanti. E quelle persone conosciute giorno dopo giorno diventarono, presto, la mia famiglia. Senza retorica. Poi, la decisione di lasciare dopo una crescente insofferenza verso un gruppo dirigente che non era più quello dei tempi d’oro e la non condivisione delle scelte di un editore troppo giovane e, forse, un po’ facilone perché non basta ereditare un patrimonio e un cognome per essere adeguati a un impegno così gravoso. Almeno, questo era il mio pensiero di due anni fa che, in cuor mio, non è mai cambiato.
Ma anche se le strade professionali si sono divise, rimaneva la stima per quasi tutti quelli che erano rimasti, a fare quello che anch’io, insieme a loro, feci fino a un giorno prima. C’incontravamo spesso con quei colleghi coi quali abbiamo condiviso tanti anni felici, ed ogni volta era come se quel percorso comune non si fosse mai interrotto.
Ecco perché oggi penso a loro, solo a loro. Ci sono vicende – ben note – assurte agli onori della cronaca. Vicende “macromediatiche” ben note a tutti. Io, oggi, voglio pensare alle vicende intime di ognuno di quei meravigliosi ragazzi che crede nel sogno di potersi realizzarse professionalmente nella propria terra, anche se si guadagna poco e se non c’è certezza nel futuro. Sono questi i drammi che davvero mi fanno soffrire. Ecco perché il sogno non deve svanire, perché l’Ora della Calabria sono principalmente loro, il resto sono sovrastrutture.
In una delle sue canzoni più struggenti e tristi (“Fammi andar via”), Claudio Baglioni cantava «Un minuto di raccoglimento, oggi si è spento un sogno». Io il minuto di raccoglimento lo osservo. Spero però, in cuor mio, che quel sogno non si spenga mai. Forza ragazzi!
QUESTO E’ L’ULTIMO SCRITTO DI LUCIANO REGOLO, PUBBLICATO QUESTA SERA:
SOSPESA LA PUBBLICAZIONE DELL’ORA DELLA CALABRIA
La nota del direttore Luciano Regolo
Purtroppo per la seconda volta in appena quattro mesi di lavoro giornalistico in Calabria devo pubblicamente denunciare un episodio grave ai danni della libertà di stampa, ma in questo caso anche contro l’esercizio dei diritti sindacali che colpisce la redazione dell’Ora e il sottoscritto. Essendo stati ieri proclamati tre giorni di sciopero per l’imminente rischio che la testata finisca in mano dello stampatore Umberto De Rose, principale creditore della C&C la casa che ci edita, lo stesso che la notte tra il 18 e il 19 febbraio faceva pressioni sull’editore perché mi spingesse a togliere la notizia relativa all’apertura di un’inchiesta giudiziaria sul figlio del senatore Gentile e annunciò poi un blocco delle rotative che impedì l’uscita del giornale, episodio per cui è indagato per “violenza privata” dalla Procura di Cosenza, il liquidatore, dott. Giuseppe Bilotta, ha annunciato via e-mail, alle 18.28 odierne, la cessazione delle pubblicazioni dell’Ora. Tale gesto improvviso, sulla base di spiegazioni pretestuose, quale la necessità di non gravare con ulteriori spese di stampa il bilancio (nei tre giorni di sciopero non si sarebbe comunque andati in stampa), si configura come una ritorsione inaccettabile specialmente perché sia il Cdr sia il sottoscritto nel numero oggi in edicola avevamo destato la pubblica attenzione su alcuni aspetti poco chiari nelle modalità e nelle procedure di liquidazione stessa. Tale convincimento è suffragato anche dal fatto che il liquidatore, con scelta “totalitaria”, annuncia anche la cessazione dell’attività online che non ha e non può avere alcun costo giornaliero sensibile ai fini del bilancio. Una scelta quindi solo dovuta alla volontà di mettere i bavagli alla redazione e al direttore dell’Ora.
Faccio notare altresì che meno di 24 ore prima, alle 20.01 di ieri, dell’e-mail che tacita l’Ora e il nostro sito, lo stesso Bilotta rassicurava l’intera redazione con una e-mail di cui ciascuno di noi conserva copia in cui annunciava che l’azienda avrebbe provveduto a pagare le spettanze dovute. Quindi, da un punto di vista contabile, non sollevava affatto il problema costituito dal costo del prosieguo delle pubblicazioni, che evidentemente è stato pretestuosamente tirato in ballo solo dopo la nostra protesta.
Devo inoltre annunciare che questo non è il primo grave episodio registrato. La sera del 7 aprile, infatti, poiché il giorno prima il Cdr aveva pubblicato un proprio comunicato sul giornale dichiarando lo stato di agitazione sempre per la situazione oscura sul futuro della testata, avendolo io cercato al telefono mi disse che avrebbe interrotto le pubblicazioni poiché il sindacato aveva “osato” indire una protesta. Mi chiese anzi di annunciare questa sua decisione a tutti i miei colleghi, cosa che io feci. Quando si stava elevando la nostra protesta congiunta, venne in redazione l’ex editore, Alfredo Citrigno, chiedendo la comprensione dei colleghi e spiegando che il dott, Bilotta non sarebbe aduso alle relazioni sindacali e che era stato commesso un errore, annunciando infine l’annullamento della decisione ritorsiva. Ma evidentemente non si trattava di mancanza di esperienza, c’è proprio la precisa volontà di impedire ogni replica e ogni attenzione su quanto si sta consumando ai danni di questa testata e di chi ci lavora, in spregio anche alle forme più elementari di rispetto, oltre che a diritti costituzionalmente garantiti, e ledendo la stessa dignità personale e professionale dei giornalisti, con metodi che ricordano quelli dittatoriali-ritorsivi del totalitarismo. Chiedo l’aiuto di tutti i colleghi calabresi e della stampa nazionale affinché ci sostengano in questa altra pagina oscura nel giornalismo di questa regione.
Luciano Regolo
direttore dell’Ora della Calabria