di Patrizia Massara Di Nallo
Sin dall’antichità erano conosciute molte varietà di vini calabresi e di ciò ci parlano sia Strabone che Plinio. Infatti la vite, come l’olivo, sono certamente tra le piante più antiche della regione, come testimoniano innumerevoli documentazioni. Strabone annovera tra i vini più rinomati quello di Turii, la cittadina della Magna Grecia che sorgeva tra Rossano e Terranova di Sibari, mentre Plinio nella sua “Naturalis Historia” tesse le lodi dei vini di Santa Severina, Cosenza, Tempsa ( Temesa ), Altomonte, Cirella e Lagaria.
In particolare ci informa sulle proprietà degli stessi considerando il «Lagaritano» dell’alto-jonio come «vino nobile,dolce e leggero, molto raccomandato dai medici»; del «Balbino» di Altomonte sottolinea,invece, la «generosità» e il sottofondo aspro «semper seipso melius»; infine del vino di Cirella ricorda il gusto mirabile e molto apprezzato a Roma. Cassiodoro, tra il 533 d.C. e il 537 d.C, indirizzava ad Anastasio, cancelliere della Lucania e del Brutium, una lettera che è una testimonianza sui vini calabresi: «Mentre pranzava alla mensa del re (cioè l’ostrogoto Teodorico di cui Cassiodoro fu fedele primo ministro ) e a tavola si facevano le lodi dei prodotti delle diverse province, il discorso cadde sui vini del Brutio e sulla soavità del formaggio silano”. Ricordato inoltre l’agreste intenso profumo del caciocavallo, Cassiodoro si sofferma a lodare in particolare una qualità di vino, il «Palmatianum», che proveniva dall’estremo lembo della regione ed aveva caratteristiche organolettiche molto simili a quelle dei più celebri vini Gazeto e Sabino.
Così descrive Cassiodoro: «È infatti per soave robustezza delicatamente denso, vivacemente forte, vigoroso all’olfatto di color bianco caratteristico che al rutto dà un sapore che a ragione sembra prendere il sapore della palma».Un vino cosi pregiato «viene incontro alla debolezza di stomaco, essicca le ferite sanguinolenti, rinfranca il petto stanco e ciò che appena riesce a dare un farmaco specifico, questo vino naturalmente offre col suo liquore».Il vino è infatti tra gli elementi più ricorrenti nella farmacopea popolare antica e medioevale calabrese, perché costituiva, insieme con le erbe officinali, l’ingrediente principe nei decotti espettoranti ed era usato anche come disinfettante e astringente. Di ciò ne abbiamo testimonianza negli atti del processo per la canonizzazione di S. Francesco da Paola, in cui si legge che Mastro Vincello, uno dei più rinomati medici calabresi del sec. XV, aveva ordinato «una lavanda de vino» a ser Jacopo di Tarsia, affetto da cancrena alla gamba.
Interessante è il tramandato testo di un brindisi popolare di Laino Borgo (CS) che così recita: «Stu vinu d’uva scelta fa / la mentisana e svelta / Quistu è buonu pi ’la trevi/ pi ’lli cilichi, la rinedda / e u mali ’i piettu,/ fa passà la picundria / e alluntana a malattia./ Ssu picchieri ’i chiaru vinu / chi iètuttu sgrignulinu / viviemunnillu in alligria/ ’n gloria di sta bella cumpagnia». Andrea Bacci (1524-1600) medico di Sant’Elpidio (AN), nel suo “De naturali vinorum historia” del 1596, loda il vino Chiarello di Cirella e i vini di Scalea, Belvedere e S. Lucido che arrivavano a Roma.P. Giovanni Fiore da Cropani (CZ) (1622-1683),scrittore e religioso, nel secondo libro della “Calabria fortunata”, alla fine del XVII sec. scriveva: «Abbonda parimente la Calabria di nobilissimi vigneti, ne’ quali è da vedersi qualunque dell’uve (che) o produsse la Natura, o coltivò l’arte».
Vincenzo Padula (1819-1893) presbitero, poeta e patriota calabrese, in “Calabria prima e dopo l’Unità”, prima di elencare i vini della Calabria settentrionale, descrive le tecnica della preparazione del vigneto: «Si fanno tre profonde arature ad intervalli per preparare il terreno a vigna. I magliuoli si raccolgono di gennaro e pongonsi sottoterra. Ad aprile tre uomini bastano a piantare mille viti. Dopo 11 mesi si tagliano i capi rasente terra; si zappano, rincalzano e si ripuliscono (ammajano) in maggio. Al secondo anno si fa la stessa coltivazione e si mette il palo. Al terzo anno comincia il prodotto. E la vigna si stralcia (svitigna)». Il Padula documenta anche che nel mosto si mettono «scorza di querce e more e per turacciolo si usano i pampini, che più promuovono la fermentazione». Comunque è da tener presente che in quell’epoca vigeva l’assioma secondo cui «i vini debbonsi conservare un sol anno» e non appena cominciava il vino nuovo, il vino vecchio veniva tolto dal commercio.Sempre il Padula ricorda che a S. Domenica Talao (CS) : «il moscato si fa o col moscatello o mettendo nel mosto comune moscatella appassita e ridotta in pasta, e facendola bollire ». Inoltre afferma che a Buonvicino (CS) c’è il «miglior vino» del Tirreno settentrionale e a Diamante (CS), quando si fa il moscato, «lo zucchero e cannella stanno a rimuta» (cioè in fermentazione 48 ore). Si tramanda, riguardo al vino di Belvedere (CS), che S. Daniele Fasanella prima di partire per un viaggio e spinto dai concittadini a lasciare loro un ricordo, chinatosi e preso un tralcio,lo consegnò loro dicendo: «Piantate questo sarmento, e sarà la ricchezza del paese».
Raffaele Corso (1885-1965) di Nicotera (CZ) nel saggio “Folklore agricolo”sull’Almanacco Calabrese del 1960, fa un elenco delle varietà di uve calabresi, e in particolare cita «l’adduraca» (zibibbo) dai chicchi allungati e dalla precoce maturazione, a cui seguono le uve vendemmiate in ottobre come la «marbascia» (malvasia), «l’alivedda» (l’insolia), la «corniola», la «minni e’ vacca», la «muscatedda», la «janica», la «grieca», la «sancinedda » e la «cuda ’e vulpi». Purtroppo con il trascorrere dei secoli è stata cancellata la conquistata memoria di una millenaria reputazione di vini d’eccellenza apprezzati in tutta l’area mediterranea e addirittura, secondo alcuni, fin dall’età del Bronzo. È solo e finalmente il 1968 a risvegliare l’interesse per il vino nella regione, quando si registra un notevole incremento delle produzioni con l’impianto massiccio di varietà capaci di garantire alte rese, mentre anche le cantine private contribuiscono ad una maggiore attenzione nei confronti della viticultura soprattutto nel Cirotano, ma anche nel Lametino e in provincia di Cosenza. Esse,infatti, producono vini che non sfuggono all’attenzione e al gusto delle pagine di “Vino al vino”, il reportage enologico che Mario Soldati, scrittore-regista e critico piemontese, scrisse per salvare le tracce di un mondo già in quegli anni a rischio d’estinzione e in cui egli rende protagonisti i rossi di Rogliano (CS), di Marzi (CS) , di Cirò (KR), di Nicastro (CZ) e Sambiase (CZ), spesso frutto di vigneti d’alta collina, terrazzati su pendii. Ed è sempre negli anni’60-’70 che vedono la luce in Calabria le DOC (Denominazioni d’origine controllata). La prima DOC ad ottenere il riconoscimento legislativo è quella del “Cirò, col D.p.r. del 2 aprile 1969, poi a seguire il “Donnici” , il “Lamezia”, il “Pollino”, ecc. L
a tecnologia del freddo che consente vinificazioni più accurate e macerazioni più lunghe, evitando nei vini bianchi il rischio delle ossidazioni precoci, è uno dei primi segnali di rinnovamento. Inoltre, dall’area tradizionalmente più vocata, il Cirotano, si uniscono insolitamente le uve autoctone come il “gaglioppo” (storico e millenario vitigno del Cirò), il greco e altri rossi calabresi insieme con i vitigni“stranieri”quali il cabernet sauvignon, lo chardonnay, ecc. Proprio come in Toscana e in Sicilia nascono anche in Calabria nuovi vini, frutto di unioni azzardate e si sperimentano anche gli impianti e la vinificazione di vitigni internazionali, sia rossi che bianchi. Le tecniche moderne di coltivazione e di vinificazione sono molto cambiate rispetto al passato anche se non hanno del tutto cancellato arcaiche maniere di coltivare. Infatti, mentre la natura generosa ha preservato la peculiarità aromatica delle uve, in molte aziende della regione si è adottato il metodo della vendemmia meccanica che, per esempio, permette di raccogliere più agevolmente nelle prime ore del mattino, quando la temperatura è più fresca. Dal Pollino allo Stretto pullulano le iniziative che annunciano un rinascimento enologico:da Frascineto (CS) a MelitoP.S. (RC), da Cirò (KR) a Falerna (CZ), da Lamezia (CZ) a Strongoli (KR), da Bianco (RC) a Melissa (KR), da Rogliano (CS) a Cariati (CS).